Archeologia, scoperti a Velia elmi e armi della battaglia di Alalia

Lo scavo nel parco archeologico di Paestum in Campania. Lo scontro navale vide contrapposti greci contro etruschi e cartaginesi

Un ritrovamento “che accende nuova luce sulla storia della potente colonia greca” di Velia. Così il Direttore generale del Parco Archeologico di Pompei, Massimo Osanna, commenta i risultati dello scavo che ha permesso di portare alla luce le mura, i resti di un tempio risalente al VI secolo a. C., un cumulo di armi e due elmi, uno dei quali etrusco forse strappato ai nemici nella battaglia di Alalia, in Corsica.

Nel 540 a.C, davanti alle coste della Corsica, si svolse una grande battaglia navale tra i focesi, coloni greci insediati nella città corsa di Alalia, ed etruschi, quest’ultimi alleati con i cartaginesi. Nello scontro i greci ebbero la meglio ma dovettero abbandonare Alalia e scappare verso il sud d’Italia, dove fondarono Hyele poi rinominata Elea (Velia per i romani).

Gli scavi, in corso dal luglio 2021 sull’acropoli, hanno riportato alla luce sotto al tempio già conosciuto e che si credeva realizzato in epoca ellenistica (300 a.C.) le basi di un altro tempio molto più antico, di forma rettangolare e di notevoli dimensioni (18 metri di lunghezza per 7 di larghezza) con una pavimentazione in terra battuta.

Le sorprese più grandi sono arrivate proprio dall’interno di questa struttura arcaica, che i focesi avrebbero costruito e dedicato alla loro divinità, Atena, non appena presero possesso del promontorio, identificato tra Punta Licosa e Palinuro in provincia di Salerno, sul quale sorse quella che diventò una delle colonie piu’ importanti della Magna Grecia.

Dai lavori che stanno riportando alla luce il piano pavimentale del tempio arcaico, spiega il responsabile degli scavi, Francesco Scelza, sono emersi elementi architettonici in argilla cotta, frammenti di decorazione del tempio realizzate da maestranze della vicina Cuma, alcune tegole della copertura, vasi e ceramiche dipinte tutte contrassegnate con la sigla “Ire” (“Sacro”) che ne attesta la dedica alla divinità e un cumulo di armi anch’esse evidentemente consacrate.

“La sorpresa più emozionante è proprio qui perché uno degli elmi appena recuperati è di chiara provenienza etrusca”, spiega Osanna. 

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