Enrico Bertolino: «Ora serve ironia contro il Covid. A 40 anni volevo smettere con lo spettacolo»

Enrico Bertolino come tutti gli uomini di spettacolo ha sofferto questo anno e mezzo di stop, anche se ha saputo inventarsi forme di comunicazione alternative (del resto il suo secondo lavoro è insegnare comunicazione nelle aziende): dirette streaming, mini siparietti su Instagram , tutto per tenere un contatto con il suo pubblico che ha reagito dicendo: «Grazie ci avete un po’ sollevato». Quest’estate comincia a vedere la luce. A luglio ha tenuto molti spettacoli e il 31 luglio a Bergamo, città simbolo della rinascita, nella splendida struttura del Lazzaretto (costruita nel 1500) e ora adibita a spazi artistici, Bertolino torna a proporre la formula dell’instant theatre, il format teatrale creato insieme a Luca Bottura e sviluppato insieme a Massimo Navone, in cui attualità, umorismo, costume, cronaca, comicità e politica si incontrano sul palco, cambiando ogni sera. Non a caso lo spettacolo che si intitola «In medio stat virtus» questa volta ha comme sottotitolo «Dall’Instant al Distant theatre» facendo riferimento alle distanze sociali e alle regole della pandemia con le quali tutti noi da tempo abbiamo imparato a fare i conti. E dunque tra monologhi e riflessioni ci sarà spazio per l’attualità fatta di vaccini e paure. Solo lui in scena per 75 minuti, insieme a due musicisti.

Bertolino, un anno e mezzo di convivenza con il Covid...

«Dalla fase 1, dura, difficile, pesante per molti. Anche per chi beveva come idrovore e mangiava come autoclavi; alla fase 2, quando ci siamo illusi che il virus avesse mollato la presa e abbiamo scoperto che era una grande presa per el Kū”; fino alla fase 3, dove regna una sola certezza: qualunque cosa succeda, non ripetere mai più la frase “ Andrà tutto bene”. La verità è che cerchiamo di ironizzare su questo periodo buio».

Torna a Bergamo, un lugo fondamentale per lei e per l’Italia

«Sì il primo luglio a “Bergamo Storytelling” raccontai come è stato costruito l’Ospedale di Bergamo in Fiera e ho fatto il muratore bergamasco, un personaggio che mi ha dato la popolarità. Del resto si sa che Noé era bergamasco e ha costruito l’Arca in 15 giorni per quello».

Qualche risata dopo un lungo periodo di sofferenze

«Certo. La presa in giro della resilienza per esempio, una parola che va tanto di moda e che è così brutta. E dopo i terrapiattisti sono arrivati anche i no vax. Non ci facciamo mancare niente. Comunque ci tengo a dire che il distanziamento sociale l’ha inventato mia nonna quando mi diceva “Sta su de doss” (non starmi addosso)»

Lei adora il teatro e il contatto con il pubblico

«Sì perchè amo giocare con gli spettatori Spesso sono loro a darmi i temi di cui parlare».

Con la tv ha un rapporto più altalenante. Partiamo dal fondo: questa stagione ha partecipato a «Quelli che il calcio» con Luca e Paolo

«Una bella esperienza, con Panatta c’era una buona intimità».

«Glob» è stato uno dei suoi maggiori successi tra rassegne stampe e lancio di giovani talenti

«E’ vero. Marco Posani, grande autore televisivo, mi venne a vedere durante uno dei miei corsi di formazione motivazionali e di scienze comportamentali che tengo nelle aziende. Da lì insieme abbiamo creato Glob e l’allora direttore di Rai3, Ruffini, ci ha dato l’ok . Una esperienza splendida. Sono venuti davvero numerosi artisti, ai tempi non ancora tanto conosciuti. Zoro, per esempio».

Parliamo di schiaffi (metaforici)

«A parte la ciabatta che mi lanciava mia madre, di una precisione chirurgica, lo schiaffo professionale è stato “Festa di classe” nel ‘99 su Rai2. La prima puntata andò bene, anche se io non ero molto a mio agio, poi la seconda gli ascolti scesero parecchio. A quel punto mi piazzarono in un residence a Roma, senza dirmi nulla. Solo “Aspetta”. Seppi dalla sarta che stava provando gli abiti a Pippo Franco, che lui avrebbe condotto la terza puntata. Fui sostituito così. Sono passato dalla gloria della prima serata al nulla».

Conoscendola, possiamo dire che quel tipo di programma non era proprio adatto a lei.. E che accadde dopo quella bruciante delusione?

«E’ stato il mio sliding door . Cominciavo a pensare di essere il più bravo, figo e cominciavo ad avere atteggiamenti indisponenti. Invece la vita ti dà degli schiaffi dai quali devi imparare. Mi colse la tristezza , il dubbio di non saper fare questo mestiere, l’idea di aver perso l’ultimo treno, visto che avevo già 40anni. E pensavo di tornare al mio mestiere di bancario. Del resto mio padre è morto pensando che io fossi in aspettativa dalla banca. Non sapeva che avevo lasciato quel lavoro …».

Ma non tornò in banca però…

«Mi salvò Gregorio Paolini. Mi disse: “Vieni a fare Convention a Napoli (programma di Rai2, dal ‘99 al 2002, con Bertolino e Natasha Stefanenko). Sono rinato grazie a Gregorio, alla Rai, a Napoli che è diventata la mia seconda città».

La comicità è cambiata negli anni

«Si molto, devi saperti adattare al contesto. Un programma come Lol (con Fedez e la Maionchi e un cast di comici) ha segnato un solco e bisogna tenerne conto».

Il suo humour e la sua figura vengono spesso paragonate a Raimondo Vianello

«Sarebbe una meraviglia se fosse vero. Di lui adoro il cinismo e il parlare di calcio».

Insomma la tv Lei la ama o no?

«E’ una cassa di risonanza troppo importante per rinunciarci, ma il teatro in tv devi saperlo fare, questo è stato uno dei problemi di Zelig, perchè quando sei in tv hai un altro pubblico. Diciamo che io il mio meglio non lo dò in tv, ma non dispero che si trovi un format adatto a me».

Il comico in tv che ama di più?

«Corrado Guzzanti»

Quest’estate non andrà in Brasile come sempre (la compagna di Bertolino, mamma della loro Sofia, è brasiliana e lì insieme hanno creato una onlus).

«Quest’anno purtroppo no, non voglio mettere a rischio mia figlia con questa emergenza sanitaria».

Speriamo che..?

«Speriamo di essere fuori da questa pandemia. Purtroppo le varianti più imprevedibili siamo noi».

Maria Volpe, corriere.it

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