Denny Mendez: «Quando vinci e senti i fischi»

A lei è successo oltre 20 anni fa, a Mahmood da pochi giorni: «Una vittoria non andrebbe mai strumentalizzata, purtroppo continua ad accadere. Gli italiani fanno fatica ad accettare il cambiamento ma non sono razzisti». Lei a sua figlia vuole insegnare a guardare oltre, ma probabilmente le controllerà il cellulare…

Denny Mendez ha 40 anni, una figlia di due (India Nayara), un compagno (il produttore italoamericano Oscar Generale) che l’ha chiesta in moglie nel bel mezzo di un red carpet di Cannes, una vita in cui alterna l’Italia a Los Angeles, dove si è trasferita 6 anni fa, un film in uscita (Trading Paint, nelle sale americane dal 22 febbraio, con John Travolta), uno appena finito di girare (La rosa velenosa con Morgan Freeman), uno spettacolo a teatro (A mare con tutti i panni, al teatro San Carluccio di Napoli dal 21 febbraio). Fin qui tutto bene. Per caso le è capitato di riguardare le foto di quando 18enne si è ritrovata con la corona in testa e la fascia di Miss Italia 1996. «A quella Denny voglio molto bene», racconta l’attrice originaria di Santo Domingo, cresciuta a Montecatini Terme, «Il fisico, ovviamente, è cambiato ma in quello sguardo deciso, nonostante lo scompiglio di quei giorni, mi ritrovo. Non so se ha presente Black Panther? Mi piacerebbe paragonarmi a una donna di Wakanda». In questi giorni la sua vittoria è tornata anche a essere metro di paragone e argomento di discussioni social. Da quando (Alessandro) Mahmood, nato a Milano nel 1992 da mamma sarda e papà egiziano, ha vinto il Festival di Sanremo. Tra polemiche e accuse di «vittoria politica». «Dispiace vedere che alcune situazioni vengano ancora strumentalizzate», spiega, «Era successo ai tempi della mia vittoria, è successo ora con Mahmood. Trovo ci sia una forte resistenza al cambiamento ma il cambiamento è inevitabile. Mahmood è italiano e la sua canzone è stata reputata la più bella. Stop. Bisognava fermarsi qui. E invece. C’è ancora chi attacca il “diverso” perché nero, gay, cinese…».

Mahmood, ex adolescente di Gratosoglio, ha dichiarato che la sua generazione è cresciuta «rispettando le diversità», che di razzismo ha sentito solo parlare in tv.
«Sì perché l’Italia è anche un Paese di persone accoglienti, generose, attente. C’è chi continua, però, a riversare odio sui social. Lì trovano spazio le peggiori chiacchiere da bar, e purtroppo c’è chi le fomenta. Io ormai applico la “yoga web terapia“. Sono una mamma, sono adulta, ho imparato a lasciarmi scivolare tutto addosso, ma a 20 anni può fare male. A me hanno detto di tutto: da “non meritavi di vincere” a “negra”».
Vent’anni dopo cos’è che l’ha ferita di più?
« Forse i fischi. La vittoria dovrebbe essere solo un momento bello. Tu sei lì, giovanissima, aspetti di essere incoronata perché hai vinto, ma senti che c’è chi non approva, chi fischia. Ti verrebbe da dire: “ehi, ho 18 anni, ho vinto io, perché dovete rovinare tutto?”. Penso possa aver provato la stessa sensazione anche Mahmood. Il “negra” non l’ho mai vissuto come un insulto, sono fiera delle mie origini».
A sua figlia cosa vorrà insegnare?
«Ad abbracciare i cambiamenti, a non avere paura, a guardare oltre. I bambini sono puri, liberi da qualsiasi pregiudizio, e vorrei che mia figlia riuscisse a conservare un po’ di quest’innocenza».
Che mamma è?
«Sto ancora prendendo le misure. So che non vorrò essere una mamma-amica. Complice sì, confidente pure ma sono convinta che sia necessario dare delle regole: ognuno ha il suo ruolo. E nonostante mi sia goduta la maternità, sono tornata a lavorare abbastanza presto. È fondamentale continuare a crescere come esseri umani, non annullarsi per i figli. Certo so di essere fortunata, per tante altre donne è molto più difficile. Una cosa che mi preoccupa? La tecnologia. Anche se mia figlia è ancora piccola, chiedo a tutti i genitori che mi capitano a tiro “a che età gli avete dato il cellulare?” “gli permettete di usare i social?”, “li controllate?”. Forse ai genitori più giovani tutto questo non accade (ride). Sono a favore della comunità delle mamme, al fare rete. Sono già piena di chat di gruppo per mamme su Whatsapp».
Qualche mese fa ha dichiarato di non conoscere il suo padre biologico.
«Non so chi sia, e ho iniziato da poco a cercarlo. A 40 anni credo di essere pronta. Sto cercando di capire pian piano senza forzare, né turbare i sentimenti di mia madre, da sempre il mio punto fermo. L’uomo che mi ha cresciuto, suo marito, è scomparso di recente, viveva a Santo Domingo. Ho dei bellissimi ricordi con lui, padre del resto è chi ti cresce ma voglio chiudere il cerchio, non lasciare questioni irrisolte. Lo devo anche a mia figlia».
Lo scorso luglio ha compiuto 40 anni. Che effetto fa?
«Mi sento finalmente matura. Ho sempre coltivato un buon equilibrio tra quel che c’è dentro e quel che si vede fuori, cercando di non dare priorità solo al lato estetico. Così oggi non avverto squilibri, sto bene nei miei 40, nella mia mente, nel mio corpo. Abbraccio la paura dell’invecchiare, non voglio bloccare i segni del tempo».
Quali sono i suoi ingredienti per invecchiare bene?
«Puntare sempre a migliorarsi, essere coerenti con se stessi. C’è un periodo della vita in cui magari si tende a volere essere qualcos’altro, dopo impari che non è il caso. A 40 anni sai chi sei e chi non sarai mai».
Che Italia è secondo lei quella di oggi?
«Mi ricorda una boa che si lascia spostare dalle onde ma continua a galleggiare. Non la vedo stabile, ma molto confusa. Come se ogni giorno arrivasse un’onda nuova a travolgerla. Ma una boa continua galleggiare, non affonda. Io poi sono fiduciosa: il mare, a un certo punto, si calma».

Stefania Saltalamacchia, Vanity Fair

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