
È venuto a mancare Michael Madsen, l’attore celebre per le sue interpretazioni nei film di Quentin Tarantino. Aveva 67 anni ed è stato rinvenuto privo di vita nella sua abitazione questa mattina, giovedì 3 luglio. Un portavoce dello sceriffo della contea di Los Angeles ha riferito che «Madsen è stato trovato incosciente dagli agenti intervenuti su chiamata al 911 nella sua residenza a Malibù ed è stato dichiarato deceduto alle 8:25». La sua rappresentante presso EMR Media Entertainment ha confermato che l’attore ha avuto un arresto cardiaco.
Quentin Tarantino lo aveva scelto per recitare in cinque dei suoi undici lungometraggi: dal debutto in Le Iene, passando per i due Kill Bill, fino a The Hateful Eight e C’era una volta a… Hollywood. Secondo alcune fonti, Tarantino avrebbe anche offerto a Madsen il ruolo di Vincent Vega in Pulp Fiction (poi assegnato a John Travolta), ruolo che però rifiutò per accettare la parte di Sonny Black in Donnie Brasco diretto da Mike Newell.
Michael Madsen nacque a Chicago il 25 settembre 1957 (alcune fonti indicano il 1958) ed è rimasto nella memoria collettiva per la sua figura iconica. Indimenticabile fu il suo ruolo da villain sadico in Le Iene di Tarantino, in particolare nella celebre scena in cui tortura un poliziotto sulle note di «Stuck in the Middle With You». Madsen ha attraversato il panorama cinematografico con un’aura potente e magnetica. Il legame con Tarantino fu stretto e prolifico: oltre a Le Iene, interpretò Budd in Kill Bill: Vol. 1 e Vol. 2, Joe Gage in The Hateful Eight e lo sceriffo Hackett nella serie fittizia Bounty Law in C’era una volta a… Hollywood.
Madsen non era solamente l’attore dal carattere duro delineato nei copioni. Era anche un poeta pubblicato e un raffinato fotografo. Il suo libro Tears For My Father: Outlaw Thoughts and Poems, con una prefazione di Tarantino, è atteso per il prossimo anno. Il regista ha scritto che «Per me, il vero viaggio di Michael con la scrittura è quello di un uomo che riflette sul significato della mascolinità in un mondo che ha perduto questa comprensione».
La sua carriera iniziò nei primi anni ’80, dopo aver mosso i primi passi al Steppenwolf Theatre di Chicago, sotto la guida di John Malkovich. Nel corso degli anni accumulò oltre 340 crediti cinematografici, spaziando dai film noir come Donnie Brasco e Mulholland Falls, ai cult generazionali come The Doors e Thelma & Louise, dai blockbuster come Free Willy, La morte può attendere e Species fino ai B-movie, scelti da lui stesso per «pagare il mutuo». In un’intervista del 2018 affermava che «Fama e notorietà sono una lama a doppio taglio. Penso che la gente mi abbia sempre temuto perché credeva fossi davvero come i personaggi che interpretavo. Ma io sono solo un attore, un padre, un marito. Quando non lavoro, sto a casa in pigiama a guardare The Rifleman con mio figlio».
Dietro la maschera del ‘cattivo’, Michael Madsen era un uomo sensibile, ricco di contraddizioni. Padre di sette figli, segnato dal dolore per la perdita tragica del figlio Hudson nel 2022, ha vissuto una vita intensa e profondamente umana. Il suo avvocato e amico Perry Wander lo ha definito «uno degli attori americani più grandi, con un carisma maschile sullo schermo ma un’anima dolce e sensibile, capace di scrivere poesie straordinarie».
Cresciuto in una famiglia operaia – il padre era pompiere, la madre un’autrice e documentarista vincitrice di un Emmy – era il fratello dell’attrice Virginia Madsen, nominata all’Oscar. Per lealtà verso un impegno precedente, rifiutò il ruolo di Vincent Vega in Pulp Fiction, affidato quindi a John Travolta. Una decisione che avrebbe potuto mutare il corso della sua carriera, ma che forse era proprio quanto lui desiderava.
Michael Madsen non era fatto per la hollywoodiana immagine patinata: era un attore da margini, luci al neon, whiskey e sangue, poesia aspra. Verrà ricordato come un cowboy stanco ma affascinante, un killer spietato con un cuore ferito, un autore tormentato, un’anima ribelle. Una leggenda del cinema americano che non ha mai avuto paura di essere se stesso. Con lui scompare un frammento di quel cinema sporco e ruvido che, grazie all’approccio estetico pulp di Quentin Tarantino, ha saputo trasformarsi in arte.