
Negli anni ’80, i Duran Duran erano considerati un gruppo per adolescenti. In realtà, si tratta di talentuosi musicisti che hanno composto brani che rimarranno nella memoria. Definirli semplicemente una band sarebbe insufficiente: hanno rappresentato un fenomeno culturale per generazioni di fan, che si identificavano nel loro stile di vita oltre che nella loro musica. A distanza di 40 anni dalla loro storica esibizione in Italia, nel 1985 al Festival di Sanremo, e dopo il ritorno sullo stesso palco a febbraio, i paladini del New Romantic fanno tappa all’Ippodromo di San Siro a Milano per gli I Days, di fronte a circa 20mila spettatori per la quarta data italiana del tour europeo. Prima di loro, il trio di Les Votives da X Factor, con il loro sound chic rock e influenze garage anni ‘70. Sotto al palco, un esercito di fan devoti, molti dei quali ex adolescenti che sognavano di sposare Simon Le Bon.
È il 2025, ma sembra di essere tornati al 1984, davanti alla MTV con diari pieni di ritagli con la faccia di Le Bon. I membri della band salgono sul palco tutti insieme, con la disinvoltura di musicisti esperti. Simon, in camicia nera e denim argentati, appare come qualcuno che ha attraversato stili e generi musicali senza mai perdere il proprio fascino. La sua voce è ancora potente, matura ma inconfondibile. Al suo fianco, Nick Rhodes, impeccabile ai synth, John Taylor, affascinante come mai al basso, e Roger Taylor, in grande forma alla batteria. Il loro concerto è una successione impressionante di successi che tutti conoscono, poiché hanno fatto da colonna sonora alle vite di molti. L’apertura con ‘Night Boat’ crea un’atmosfera suggestiva. A seguire, arrivano a raffica i classici, iniziando con ‘The Wild Boys’, ispirato al libro di William S. Burroughs, e con un video che fu rivoluzionario all’epoca. I visual che accompagnano oggi il brano sul palco non sono da meno, mescolando elementi cyberpunk a immagini che richiamano il metal degli Iron Maiden, con mostri e zombie dalle zanne affilate. Come prevedibile, il pubblico impazzisce. E poi, ‘Hungry Like the Wolf’, un inno pop degli anni ‘80 tra i più amati dai fan; ‘A View to a Kill’, l’unico tema di James Bond ad aver raggiunto il numero uno negli USA, avvolto da synth che esibiscono ancora oggi il loro incredibile fascino. Tra medley e cover, spicca ‘Psycho Killer’ dei Talking Heads, dal recente e ottimo lavoro ‘Danse Macabre’, suonata con ‘Girls on Film’. Per il finale, nell’encore, immancabili ‘Rio’ e ‘Save a Prayer’, la ballata per eccellenza che emoziona ancora oggi. Prima di intonarla, Le Bon sventola una grande bandiera italiana, sottolineando il profondo legame con il nostro Paese.
Nel prato dell’ippodromo, tra t-shirt commemorative, palloncini per festeggiare il compleanno di John Taylor (il pubblico e anche Le Bon intoneranno ‘Happy Birthday’ con tanto di torta sul palco) e cartelloni colorati, si respira un affetto raro. Alcuni hanno portato i figli adolescenti, comitive che hanno ignorato lo sciopero dei mezzi per raggiungere il concerto, altri hanno trascinato i mariti, mentre molti guardano Simon Le Bon con lo stesso sguardo sognante di 40 anni fa. È una festa in cui si balla e si canta incessantemente, ma senza dimenticare i drammatici eventi nel mondo. Prima di iniziare ‘Ordinary World’, Le Bon ricorda sul palco che “ci sono persone che muoiono a Gaza”. Il popolo di Israele sta lottando contro il proprio governo e non possiamo dimenticare i nostri fratelli e sorelle in Ucraina, ormai entrati nel quarto anno di guerra, con un futuro che sembra incerto. Tutte queste persone stanno combattendo per vivere in pace nei propri Paesi, nei loro mondi ordinari.
I Duran Duran hanno inventato un’estetica pop unica. A lungo etichettati come semplici idoli da poster, Simon Le Bon e i compagni hanno riconquistato la scena con dignità: pionieri del suono e dell’estetica, architetti di un pop visionario che ha saputo unire influenze e anticipare i tempi. Oggi, la critica li guarda con occhi nuovi e, finalmente, con il rispetto che meriterebbero.