Sabrina Ferilli si racconta

Sabrina Ferilli

Non solo poche attrici, ma anche poche persone potrebbero sostenere, nella vita reale, il lungo e muto faccia a faccia che in The Place, vede impegnati Sabrina Ferilli e Valerio Mastandrea: «I silenzi sono difficili, per renderli pieni ce ne vuole». Ma non è tutto. Se Ferilli ci riesce con tanta, coinvolgente, naturalezza è anche perché dal vocabolario della sua esistenza mancano parole come rimorso e rimpianto: «Dobbiamo essere felici di quello che abbiamo. Penso che nella vita si scelga dove si vuole andare, io volevo essere autonoma, avere poca gente intorno, ma di grande qualità. Mi sono impegnata, con grinta e determinazione, e quello che non ho avuto è perchè non l’ho voluto».

Quante volte ha detto no nel suo lavoro?  

«Tante, ho risposto più volte no che sì. La mia è una carriera larga, ho fatto tutto, cinema, tv, commedia, musical. Per accettare un ruolo devo sentire che sta nelle mie corde, se non riesco a capirlo non lo faccio. Si possono fare anche quelli leggeri, ma solo se senti il personaggio. Direi che le mie scelte sono più civiche che artistiche».

Nessun rammarico, nemmeno nel privato?  

«Ho sempre ragionato su quello che desideravo, compiendo scelte, anche azzardate, ma sempre rispondenti a ciò che volevo. Non mi sono sentita di fare figli, ho tentato di adottarne uno, ma non c’è stata fortuna, alla fine le cose sono andate come dovevano andare e non ne ho fatto una malattia. I paragoni con i percorsi degli altri non mi hanno mai interessata».

Eppure nel suo mestiere, come in tanti altri, se ne fanno parecchi.  

«Quando sento gli attori che stanno lì a contare le scene e le battute da interpretare in un film mi viene da ridere. Questo è un mestiere straordinario, paurosamente inaffidabile, con un che di misterioso. E, anche se io sono una organizzata e con i piedi per terra, il motivo per cui lo amo è proprio questo. Niente è matematico, progettare è impossibile, e non ci si può aspettare di venire promossi perché ci si sente più bravi di altri. È chiaro, ci si appoggia sempre sulle proprie qualità, ma alla fine è la cinepresa che decide».

Quelle di Paolo Sorrentino e di Paolo Genovese le hanno tirato fuori una malinconia che, per anni, non era mai venuta a galla. Quanto le appartiene?  

«È una cifra mia, quando Sorrentino mi affidò il ruolo di Ramona rimasi spiazzata, non era tra i tipi di personaggi che mi avevano reso famosa. E invece quell’aspetto mi appartiene, quell’amarezza, quella sorta di “inconsolazione”. Chi sa ridere sa anche patire. E poi è giusto che certe parti mi siano state offerte nella maturità, da giovane certe cose non le avvertivo nemmeno io. Anche Genovese mi ha usata per questo, per quel tono di sospensione, di attesa di qualcosa».

A proposito di attese e aspettative, questo, per la sua città, è stato un anno difficile. Colpa della sindaca Raggi?  

«Io Roma la vedo molto più pulita di prima, vedo acqua e vedo sapone. Magari continuerà a essere sporca in certe situazioni, ma il problema dell’immondizia l’hanno avuto anche altri sindaci, più o meno bravi della Raggi. Secondo me ’sta ragazza paga certi tweet sciocchi mandati quando c’era Marino. Una mania che può esporre alle polemiche, mettendo in luce contraddizioni. Secondo me, soprattutto quando si fa un mestiere pubblico, con un incarico amministrativo, bisognerebbe parlare di meno e lavorare di più».

I social non sono la sua passione, giusto?  

«Non ho niente, né Twitter, né Instagram, solo una pagina Facebook non gestita da me. Faccio l’attrice, chi mi vuole vedere viene al cinema o a teatro, oppure legge cosa penso nelle interviste come questa. Perché dovrei andare sui social?».

Il parere sulla Raggi riguarda anche gli altri pentastellati?  

«Il mio voto non glielò darò, ma i Cinquestelle sono stati un antidoto alla vecchia politica, hanno dato battaglia e, come cani di San Bernardo, hanno riportato dentro il gregge, contenendo la politica e mettendola sotto osservazione. Che uno faccia il parlamentare per un anno e poi prenda per sempre la pensione è una cosa assurda, Insomma, certi esempi contano di più delle parole».

E di Di Maio cosa pensa?  

«Sono ragazzi perbene, non mi sento di incolparli, hanno trascinato anche gli altri su un livello di correttezza e di legalità. Non ho motivo per essere scettica nei loro confronti. Li considero con simpatia».

A chi andrà il suo voto?  

«Vedrò, mancano mesi, ma guardo con affetto e partecipazione “Liberi e uguali”. Su certi passaggi i Cinquestelle sono rimasti ambigui, sui diritti civili non si sono esposti, non si riesce a capire fino in fondo che cosa abbiano in mente».

E di Pietro Grasso che opinione ha?  

«Mi piace, è una persona perbene, competente. Non bisogna per forza governare, si può stare all’opposizione, quella che abbiamo avuto ultimamente non è stata vigile. Se si ricostituisse una forma più attenta di partecipazione, sarei soddisfatta. Il governo passato si è dedicato molto ai diritti civili, poco a quelli sociali».

E di D’Alema che dice, non l’ha mai delusa?  

«No, è un grande politico, perchè dovrebbe deludermi?».

Il 2017 è stato l’anno dello scandalo molestie. Il suo parere?  

«Chi è molestata vada a denunciare e avrà tutto il mio plauso e il mio sostegno».

Nei prossimi mesi uscirà «Ricchi di fantasia», in cui recita con Sergio Castellitto. 

«Sì, per la prima volta, e spero non l’ultima. È tra le poche persone a cui ho sentito di potermi completamente affidare, ha ogni volta il consiglio giusto, il suggerimento utile. Ho sempre voluto lavorare con persone che ne sanno più di me. Eppure trovare gente che mi stupisse è stato difficile»

C’è qualcosa che non ha ancora fatto e le piacerebbe fare?  

«Ritornare a teatro, con un personaggio diverso dai miei, con molte sfaccettature».

E in tv?  

«Ad aprile sarò in tv, nel ruolo di un magistrato, ma ne parliamo più in là».

Qual è il suo augurio per il 2018?  

«Salute, e poi buon senso e correttezza,soprattutto da parte di chi riveste cariche pubbliche. Per un Paese meno becero e aggressivo, ci vuole gente che esprima una responsabilità lucida e vigile».

Fulvia Caprara, La Stampa

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