Ritorna il dubbio amletico dell’intrattenimento / Meglio le serie tv o il cinema?

Si torna a parlare delle differenze – e delle divergenze – tra i due. E ancora una volta a essere dimenticato è il pubblico

Un’immagine di The young pope, serie tv di Paolo Sorrentino, che è stata il punto d’incontro tra cinema e tv

Televisione contro cinema. Una settimana fa, su La Repubblica, la regista Cristina Comencini traeva le sue personalissime somme: meglio i film. Secondo lo sceneggiatore Nicola Guaglianone, invece, le due cose non sono in competizione ma, anzi, si aiutano vicendevolmente: perché entrambe non vogliono fare altro che raccontare – e trasmettere – emozioni. «Il fine è lo stesso. È provocare emozioni. Condividerle. Altrimenti si rischia di avere autori che non si preoccupano del pubblico, ma soltanto di esaltare il proprio ego. E la loro non è arte, ma una masturbazione artistica come direbbe Woody Allen». È una storia vecchia, dice Guaglianone, che sembra ripetersi da sempre. Dai tempi del sonoro e del colore, più o meno: è progresso e a qualcuno le novità non piacciono.

Televisione e cinema sono due medium, due mezzi, diversi. Una volta, anche il target che intratteneva l’una non aveva niente in comune con quello che intratteneva l’altro. Con il tempo – e i film e le serie tv, e il passaggio di autori, registi e attori da una parte e dall’altra – le cose sono cambiate. Al cinema, si punta su quello che è l’intrattenimento di massa, mirato alla pancia delle persone: hai due ore, solo due; e il tuo investimento come casa di produzione deve essere studiato. Non devi rischiare. I rischi, ci ha detto nemmeno una settimana fa David Levine di HBO, vanno evitati. E quindi punti sul cavallo vincente (sempre tu, produttore): punti sul franchise, sui supereroi, sugli inseguimenti e sulle esplosioni.

Le storie intime, quelle piccole e per pochi, trovano poco spazio. Peggio: trovano pochi investimenti. E alla fine, quando li trovano, vengono distribuite online, su piattaforme di streaming come Netflix oppure direttamente in televisione e home video. Insomma: lontano dalla sala.

In televisione, invece, quello che si cerca è proprio il rischio: l’azzardo. Non è un caso che in questi anni gli investimenti siano aumentati così tanto. Non è un caso, soprattutto, che molti dei volti noti del cinema – David Fincher, qui da noi Paolo Sorrentino, Woody Allen; anche Steven Soderbergh – abbiano provato a girare – o a scrivere, o anche solo a interpretare – una serie tv.

C’è più libertà tra le quattro pareti del televisore. E anche se la sovrapproduzione seriale è dietro l’angolo e il rischio “peak tv” è sempre più presente, molti network, primo tra tutti Hbo, seguito a ruota da FX, ne approfittano: e insieme al rischio e alla novità cercano anche l’originalità. È per questo motivo che un solo episodio di “Game of Thrones” (qui da noi trasmesso da Sky Atlantic HD) è arrivato a costare circa 15 milioni di dollari. Rapportato con i costi di un blockbuster hollywoodiano, si sta ancora risparmiando.

E poi ci sono i ruoli dello showrunner e dello sceneggiatore, il primo totalmente inedito sul grande schermo, che portano una direzione editoriale molto più decisa e precisa nella serialità televisiva. In televisione trovano spazio storie di personaggi, quindi complicate, grigie, a volte specializzate nel racconto estremo del male o del tormento; oppure della rinascita, della speranza, della forza che scaturisce dallo stare insieme.

Anche i costi per i consumatori sono diversi: e non è un segreto per nessuno che un abbonamento a Prime Video di Amazon o a Netflix o anche a Sky sia più conveniente di andare al cinema una volta alla settimana, per la nuova uscita.

Quello tra film e serie tv non è uno scontro. È un viaggio parallelo. Da cui ciascuno dei due mezzi, volendo, può trarre cose positive. Il cinema può trovare nella serializzazione delle proprie storie – più appuntamenti a più uscite – un nuovo modo per attirare pubblico nelle sale. E la televisione, nella qualità cinematografica di tecnica e produzione, può trovare un altro punto di riferimento.

Quello che, a conti fatti, appare piuttosto evidente è una cosa soltanto: in mezzo, tra i due colossi dell’intrattenimento, c’è il pubblico. Ed è al pubblico, prima ancora che a una lotta di scopi e di differenze, che si dovrebbe pensare. Perché senza il pubblico – il seguito, il successo; i soldi spesi per biglietti e abbonamenti – non ci sarebbero né film né serie tv

Gianmaria Tammaro, La Stampa

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