KEVIN SPACEY: DA JACK LEMMON A “HOUSE OF CARDS”, VI SVELO LA MIA SCUOLA DEL TALENTO

Incontro con l’attore, ospite ad “Amici”, sabato su Canale 5. “Con la mia Fondazione aiuto i giovani a realizzare i propri sogni nello spettacolo”

kevin spaceyC’è qualcosa di surreale nel vedere il premio Oscar Kevin Spacey, perfido Frank Underwood di House of Cards, che discute con Loredana Berté sul modo spensierato in cui la diciottenne Chiara canta One degli U2. Ma nello studio di Amici tutto può succedere, anche che Spacey, quarto giudice nella prima puntata del serale (sabato su Canale 5), spieghi serafico alla Berté che non è necessario aver sofferto per cantare l’inno di Bono “perché la cosa straordinaria della musica è la libertà che regala a chi la interpreta”. Maria De Filippi punta in alto e ci tiene a precisare che l’attore “non è stato pagato miliardi”, era in Italia per le vacanze di Pasqua.
Faccia arrotondata, sguardo imperturbabile, calze scozzesi azzurre e blu abbinate alle scarpe bianche immacolate da golfista, Spacey, 56 anni, due Oscar (I soliti sospetti e American Beauty), per tutta la durata dello show beve aranciata; nel contratto aveva chiesto garanzie soprattutto per il suo adorato cane trovatello (cibo di una certa marca e cuccia), poi rimasto a casa perché è stato operato. Olga Fernando traduce, battuta per battuta, quello che succede in studio; nei momenti in cui Morgan, Berté e Oxa urlano, Spacey sorride: “May I judge the judges?”, “Posso giudicare i giudici?”.
Nella sua vita non c’è solo House of Cards, serie cult qui in Italia e in mezzo mondo, c’è l’Old Vic Theatre a Londra, la passione per Shakespeare, e ci tiene a sottolinearlo: “Parliamo del talento: parte tutto da lì e dal modo in cui lo utilizziamo, non crede?”.
Con la sua “Kevin Spacey foundation” aiuta i giovani talenti. Come le sono sembrati i ragazzi di Amici?
“Mi hanno ricordato la mia giovinezza perché quando ho iniziato ero come loro, avevo una grande voglia di mettermi alla prova e farmi conoscere. Tentavo qualsiasi cosa: serie, film, commedie. So cos’è la fatica”.
Ha sempre saputo che voleva fare l’attore?
“Avevo dodici anni quando l’ho deciso ma per chi comincia è fondamentale incontrare gli insegnanti giusti, un mentore che ti guidi e ti incoraggi”.
Ha avuto una grande fortuna: è stato Jack Lemmon a incoraggiarla.
“Jack era una persona fantastica, un interprete geniale che passava dai ruoli comici a quelli drammatici. Gli sono eternamente grato e non voglio che venga dimenticato. Ero timido, insicuro, a 13 anni ha cambiato la mia vita. Si rende conto della generosità? Lui, grandissimo attore, era venuto a seguire un workshop di studenti. Dopo che ho recitato la mia scena è venuto da me, mi ha messo una mano sulla spalla e mi ha detto: “Sei nato per fare l’attore”. Mi consigliò di andare a New York a studiare recitazione”.
Pensa che senza il suo sprone non ce l’avrebbe fatta?
“Assolutamente no. Quando sei piccolo e il tuo idolo ti dice: ‘Continua sulla tua strada perché è quella giusta’, è come ricevere un premio. La cosa più importante nella vita, e vale per tutti, è l’autostima. Sapere chi sei e quanto vali. Perché il talento, senza la fiducia in te stesso e qualcuno che creda in te, non basta”.
Dodici anni dopo ha recitato con Lemmon.
“Jack recitava a Broadway Il lungo viaggio verso la notte, avevo 25 anni e non immagina cosa non ho fatto per poter avere un’audizione. È stata davvero un’impresa. Alla fine riuscii a recitare la scena con lui quel giorno. Poi ho avuto la possibilità di diventare suo amico, è stato come un padre per me”.
Cosa le ha insegnato?
“Tutto: come trattare le persone, coltivare il sense of humour, cogliere la bellezza nelle cose che fai. Era una gioia stare con lui, ed è lo spirito che ho riversato nella mia fondazione. Quando hai avuto tanto dalla vita, è bello poter restituire qualcosa: se ti hanno aiutato, è giusto dare una mano a qualcun altro”.
In cosa consiste il suo impegno?
“Organizzo molti workshop nel mondo, aiutiamo i giovani ad andare all’università, istituiamo borse di studio. Dal ballo ai corti alla recitazione. Il simbolo della fondazione è il pulsante dell’ascensore, come diceva Jack: ‘Sending the elevator back down'”.
Era più facile riuscire a emergere prima o è più facile adesso?
“Non è mai facile. Oggi sono cambiate le circostanze: tra cinema, tv e teatro, è più facile superare i muri anche se non hai un agente perché con YouTube puoi trovarti un’audience da solo”.
Ma costruire una carriera è un’altra cosa, no?
“Certo, è qui che volevo arrivare: è più facile partire se hai fortuna, ma dopo devi studiare, migliorare, crescere”.
Avrebbe mai immaginato che il giovane rapinatore di Meryl Streep in Affari di cuore avrebbe vinto due Oscar?
“Che ricordi. Mike Nichols mi diede una grande occasione, ero alle prime armi, nervosissimo, giravamo la scena nella metropolitana – a Times Square, piena di gente – in cui dovevo pedinare Meryl Streep e poi la rapinavo. Era il giorno del mio 26esimo compleanno e alla fine di quella giornata Mike e Meryl mi presero sottobraccio e mi invitarono a cena: ‘Ora andiamo a festeggiare’ “.
House of Cards è un successo mondiale, Frank Underwood ha il talento della cattiveria: la diverte interpretarlo?
“È uno dei personaggi più importanti e complessi che ho interpretato, so che qui in Italia la serie piace molto. Underwood è disposto a tutto per ottenere quello che vuole, è il classico villain “.
Più che cattivo, spietato.
“Lo interpreto con una certa credibilità, ma non vorrei che la gente pensasse che sono come lui e mi togliesse il saluto”.

Silvia Fumarola, La Repubblica

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