PASSENGERS, UNA STORIA D’AMORE MASCHERATA DA FANTASCIENZA

Lo spunto formidabile, che sembra uscito dall’ambientazione di Wall-E, lentamente perde ogni connotato di fantascienza e scivola nella love story pura

passengersCome se fosse fuoriuscito da una costola di Wall-e, Passengers sembra ambientato nella nave spaziale che in quel film porta gli umani su un altro pianeta, una specie di immensa nave da crociera interstellare fornita di tutto. Se solo quegli umani fossero stati in sonno criogenico e se due di loro (per diverse ragioni) si fossero risvegliati anzitempo, unici tra tutti quelli a bordo, allora avremmo avuto Passengers.
Nel film di Morten Tyldum esiste quel medesimo senso di distopia dolce, di futuro in cui non tutto dev’essere proprio roseo ma la propaganda è più potente di quella delle distopie dei film del passato, è più abile a mascherare tutto con linee morbide, superfici lucide e un design così efficace da far dimenticare l’ansia.
La forza di questo film molto poco di fantascienza (nonostante l’ambientazione) è proprio quella di presentare una situazione problematica ma non socialmente turbolenta, in cui lentamente far emergere dai dialoghi un background non propriamente roseo.
Chris Pratt è un meccanico, livello infimo della società; Jennifer Lawrence è una giornalista, livello già più alto. Le differenze nella maniera in cui i due hanno accesso ai beni sulla nave suggerisce una stratificazione più rigida di quella che il mondo occidentale conosce oggi, alla stessa maniera l’ampia presenza di esseri umani su una nave che abbandona la Terra lascia intuire che non ce la si passi benissimo sul pianeta.
Eppure il miracolo al contrario è come da tutto questo Passengers non riesca mai a trarre un vero film di fantascienza. Nonostante metta a confronto due esseri umani contro una gigantesca tecnologia, fin dall’inizio in odore di malfunzionamento, il film non ha mai davvero l’intenzione di riflettere sul posto che possa occupare l’uomo (come razza) in un futuro in cui gli equilibri sono sconvolti dall’avanzamento tecnologico. È invece una storia d’amore, inizialmente anche ben raccontata, tra due persone diversamente sole, che per motivi dissimili hanno abbandonato tutto dietro di sé e si trovano soli in un posto immenso, forse condannati a invecchiare insieme (essendosi svegliati anzitempo dovrebbero aspettare l’arrivo a destinazione, cui però mancano 90 anni).
Il modello di questo film è palesemente Gravity (a un certo punto ci si avvicina moltissimo, fluttuando nello spazio) e la sua avventura in quasi solitaria nello Spazio silenzioso. Ha le medesime paure di morire nel vuoto, la stessa idea che nello spazio profondo stia la risposta ai problemi intimi sviluppati sulla Terra e quella maniera di coniugare il desiderio di sopravvivere con i problemi tecnico/tecnologici che pone lo spazio.
Perfetto per un trailer, Passengers regge molto male la lunghezza di un film, il suo è un continuo rimando del piacere, gioca al gatto con il topo con lo spettatore, perde tempo e finge di non avere una storia da portare avanti. Quando finalmente entra nel vivo, purtroppo delude.
Questa storia di nuova fantascienza in cui non c’è un nemico vero e proprio (non fatevi ingannare dal trailer fuorviante, contiene battute che nel film non ci sono), in cui l’esplorazione e il senso di scoperta sono il cuore dell’avventura e in cui la solitudine di fronte alla paura di morire è una componente essenziale, ha una brusca virata circa a due terzi dello svolgimento.
Senza fare spoiler vi basti sapere che quando l’azione entra davvero nel vivo e si inizia a rischiare di morire, tutti i buchi di una sceneggiatura che li aveva saputi mascherare vengono a galla e cominciano a inghiottire la plausibilità. Anche accettando le premesse di fantasia del film, lo stesso le incoerenze e irragionevolezze mangiano quel poco di decenza rimasta e con essa la speranza che il film finisca all’altezza di come è iniziato.
Una scena finale delirante chiude il cerchio.

Gabriele Niola, Wired

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