Clio MakeUp: «Vi svelo la mia punturina magica»

Niente Botox: il segreto del successo è un’iniezione di autostima. Clio MakeUp oggi ha tutto: famiglia, carriera, felicità. Grazie a un marito che l’adora, e che le ha insegnato a volersi bene

Clio MakeUp sta al beauty come Chiara Ferragni sta alla moda. Entrambe sono partite dal web: da un fashion blog la Ferragni, da un canale YouTube Clio (Zammatteo all’anagrafe) che, prima tra le italiane, si è imposta come un’autorità nel campo dei tutorial di trucco. Entrambe sono state aiutate, nella loro ascesa professionale, dal fidanzato conosciuto in università: ora Riccardo Pozzoli per Chiara è un ex, mentre Claudio Midolo, Clio se l’è sposato.

Entrambe hanno colto l’opportunità di vivere il sogno americano: a Los Angeles Chiara, a New York Clio. Hanno anche saputo sfruttare al meglio Instagram, dove alternano post dedicati a collaborazioni con brand prestigiosi e aggiornamenti circa i figli che, guardate un po’, hanno nomignoli simili: #babyraviolo Leone, #babylenticchia la piccola Grace di due anni. Ma soprattutto, le due influencer hanno voluto diventare imprenditrici: l’una di una collezione di moda, l’altra di una linea di make-up.
C’è qualcosa, però, che le differenzia. Si percepisce non appena Clio entra nello studio fotografico. E lo illumina, più dei flash, con un sorriso che parte dalle labbra e arriva agli occhi e con un accento ancora marcatamente veneto, nonostante i tanti anni di residenza newyorchese: «È molto semplice», spiega la 36enne bellunese. «Chiara è irraggiungibile: è la bellissima dai vestiti milionari. Io sono la più raggiungibile di tutte: mi rivolgo al popolo, parlo terra terra e, nonostante stia avendo un po’ di successo, continuo a vestirmi come una “provincialotta”», dice mentre stringe tra le mani un lembo dell’ampia e lunga gonna nera che lascia appena intravedere dei sandaletti rasoterra.
Viene da pensare che non sia cambiata molto da quel giorno di 11 anni fa in cui, prima di iscriversi alla rinomata scuola Make-Up Designory di New York, si posizionò di fronte alla webcam. E, con voce rotta dall’emozione, registrò una breve presentazione: «Ciao sono Clio, vorrei fare dei tutorial di trucco. Spero che mi seguirete». Negli anni, l’hanno seguita in sette milioni.

Riguarda mai quel primo video?
«Quando capita penso: oddio che orrore! Impiegavo cinque ore per ogni clip: ero molto insicura e la rigiravo anche 20 volte se non ero convinta».

Ora invece?
«Ci metto meno, ma penso di più: ci sono ragazzine che mi guardano, voglio evitare di dire la cosa sbagliata».

Per esempio?
«Non vorrei mai passasse il messaggio che se una non si trucca è brutta. Il make-up è divertente, ma mica necessario. Oppure, che basta esporsi su Internet per fare soldi facili: io ho impiegato anni per fondare un’azienda».

Che ora frutta circa sei milioni l’anno e dà lavoro a 35 persone.
«Avrei potuto spendere i miei guadagni in abiti e scarpe ma, anziché vestire, ho preferito investire. Volevo creare una realtà in Italia, dove la mancanza di lavoro genera frustrazione».

Lei che capo è?
«Quella che, quando arriva in ufficio, porta i pasticcini a tutti. Delego volentieri a mio marito il compito di essere più severo».

Claudio ha lasciato il proprio lavoro come game designer per seguire la sua avventura professionale. Sfidate il luogo comune che «dietro a un grande uomo c’è una grande donna»?
«Lui non sta dietro di me, mi sta accanto. Appare di meno, perché è timido. Ma Clio MakeUp non esisterebbe senza di lui».

Che cosa fa di concreto?
«Segue la produzione dei video, delle foto e il lancio dei prodotti. Cura il rapporto con i follower: risponde ai messaggi su Instagram. E mi inietta dosi di autostima ogni giorno».

Autostima che le manca?
«Diciamo che non credevo molto in me stessa: a scuola ero un po’ una somara perché pensavo che, tanto, sarei finita a gestire le gelaterie di famiglia. È stato lui a dirmi: se ami il trucco, fai della tua passione una professione».

La leggenda vuole che sia stata lei a fare la prima mossa quando vi siete conosciuti.
«Cosa di cui Claudio va molto orgoglioso. Avevamo una lezione in comune allo IED. Io stavo sempre in ultimo banco, lui al primo: era tra gli studenti più brillanti, assistente dei professori, sempre a capo di qualche progetto speciale. Mi intrigava e mi sembrava pure simpatico. Ma avevo paura».

Di?
«Di annoiarmi. Di solito mi innamoravo del classico stronzo, che non ti considera e ti fa soffrire. Era la prima volta che mi interessava un bravo ragazzo. Mi trattava come una dea. Pensavo che non sarebbe durata».

12 anni dopo, eccovi qua, sposati e genitori di una bimba.
«Sa qual è la cosa bella? Lui mi ama così come sono. È importantissimo: la vita, a volte, mi fa sentire inadeguata».

Quando?
«Spesso. Io mi batto perché le donne imparino ad accettare il proprio corpo senza rincorrere una perfezione che non esiste. Poi, però, sono la prima che si lamenta perché nella mia famiglia sono tutti slanciati mentre io non arrivo al metro e 60 e ingrasso solo a guardarlo, il cibo. Proprio me dovevano fare tarchiatella?».

Durante l’adolescenza ha sofferto per questo?
«Molto. Le mie compagne di scuola erano femminili, formose. Io sembravo una bambina, con taglio a scodella e apparecchio per i denti. Ero quella simpatica: Clio, l’amica. Quando giocavamo al gioco della bottiglia e toccava a me, il commento più carino era “che sfiga”. Ho iniziato a truccarmi per cambiare un po’».

Così si è appassionata.
«Sì, ho cominciato a truccare anche le amiche: venivano a casa mia prima di andare in discoteca. Poi loro uscivano e io no: rimanevo davanti alla tv. Mi vergognavo».

I suoi genitori non la incoraggiavano?
«Non c’erano: lavoravano nelle gelaterie in Germania e tornavano solo qualche mese all’anno. Sono cresciuta con i nonni».

Cosa ricorda di quegli anni?
«La tristezza che mi assaliva i giorni prima che ripartissero. Stavo seduta sul mio letto, circondata da peluche, e pensavo: tra poco se ne vanno. Poi, al momento dei saluti ero sempre spiazzata perché mia mamma non si voltava mai. Diceva: io vado, ciao. E spariva. Credevo che non mi volesse bene. Sbagliavo naturalmente».

Quando se ne è accorta?
«Ora che la vedo fare lo stesso con mia figlia: sta malissimo quando deve separarsi da Grace, ma non vuole darlo a vedere».

Grace è stata parecchio desiderata.
«L’abbiamo cercata a lungo, sì. La prima volta che sono rimasta incinta non è andata bene».

Le va di raccontare?
«Ero al terzo mese, ero già felice. Vado a fare una controllo e il ginecologo mi dice: vorrei rivederla tra tre giorni. Quando sono tornata il cuore non batteva più. Ero disperata, piangevo e, per tutta risposta, mi sentivo ribattere: su su, dai, andrà meglio la prossima volta».

Perché arrivasse la «prossima volta» c’è voluto un po’.
«Più di un anno. Cresci con l’idea che avere un figlio sia la cosa più naturale al mondo: fai l’amore senza preservativo e, tac, resti incinta. È stato uno shock scoprire che non è così. Ogni mese guardi il calendario, speri di beccare i giorni fertili, ti stressi tu e stressi tuo marito. Due settimane dopo fai il test e niente. La ricerca di un figlio può rasentare l’ossessione».

Si è fatta aiutare?
«No, a un certo punto è accaduto, naturalmente. Sono stata in ansia fino all’ultimo però: temevo un altro aborto».

Una foto di lei al nono mese con qualche smagliatura è diventata virale.
«Avevo una pancia enorme: sopra era liscia e non vedevo i crateri viola che stavano sotto. Volevo qualche scatto carino prima del parto: quando ho visto quella foto sono scoppiata a piangere, ho interrotto lo shooting e, per due mesi, non ho più voluto saperne niente».

Poi?
«Poi è nata Grace. Ho pensato: ho creato un amore di bambina. Chissenefrega delle smagliature. E l’ho postata».

Nina Verdelli, Vanity Fair

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