Linus: “La vecchiaia fa paura”

Abbandona la poltrona e mi viene incontro sorridendo. Prepara due sedie e ci mettiamo uno di fronte all’ altra. Nonostante precisi che ha le turbolenze proprie dello Scorpione, in verità Linus (all’ anagrafe Pasquale di Molfetta) non mette fretta al tempo e lo condivide in una lunga “seduta” (come ironicamente l’ ha definita). Siamo al quinto piano di Radio Deejay, la sua seconda casa: come conduttore “abita” qui dal 1984 e dal 1995 ne è anche direttore artistico.

È figlio di emigranti: da Canosa di Puglia a Paderno Dugnano.

«Due genitori umili e con una vita molto faticosa. Papà Michele era un piccolo artigiano, faceva cornici, mentre mamma Maria era casalinga, indaffarata a far quadrare i conti con 3 bimbi dall’ età ravvicinata. Era bellissima e molto ironica. Papà invece mi ha regalato la passione per la musica, lui suonava la tromba».

Che bambino è stato?

«Ero il figlio di mezzo, il più buono e tranquillo. Sono stato un po’ il secondo marito di mamma, lei faceva affidamento su di me per il mio senso dell’ organizzazione e della responsabilità. Ero curioso e un lettore onnivoro. A colazione se avevo davanti una scatola di biscotti, leggevo ogni descrizione, gli ingredienti, le calorie… Avevo una casa piena di giornaletti e mi rifornivo di libri alla biblioteca di Paderno. Ho adorato e consumato Peter Pan, poi L’isola del tesoro».Per due anni ha fatto l’ operaio «Scoprii la radio pochi mesi prima della maturità da perito elettronico e la conseguenza fu che non venni ammesso all’esame. Ci impiegai 3 anni per diplomarmi con un onorevole 46. Mia mamma fu chiara: di giorno operaio, di sera a scuola e dopo la scuola la radio. Nell’estate 1978 arrivò il diploma e l’ addio della fidanzata. Per ripicca nei suoi confronti o per gratificarmi, decisi di fare la radio di mestiere. Guadagnavo due lire ma ero felice».  Ci ha impiegato un po’ prima di vincere il complesso del terrone a Milano «Se ripenso a certi momenti mi faccio una tenerezza da solo. Avevo 12-13 anni, andavo all’ufficio anagrafe del Comune e stentavo a dire il mio nome, mi sentivo gli occhi di tutti addosso. Imbarazzo e vergogna. Sprofondavo al nome Pasquale. Ora ho fatto pace anche con questo. Vivevo un pregiudizio che era solo nella mia testa».

Perché Linus?

«Tutti i Pasquale in Puglia sono ribattezzati Lino, storpiato da un mio insegnante alle medie in Linus. Mi era piaciuto, disegnavo tantissimo e quella diventò la mia firma».

Avere un fratello minore dj come lei è stata una responsabilità o uno stimolo?

«Adesso è più una responsabilità, sono il suo capo: devo fare prima l’ interesse dell’azienda e poi il suo. Albertino è la persona con la quale devo usare più accortezza nel dirgli le cose. Nei miei inizi lui è stato l’ unico giudice a cui facevo riferimento».

È stato Claudio Cecchetto a portarla a Radio Deejay nel 1984.

«Avevo 26 anni, ero partito per le vacanze estive dicendomi che al ritorno avrei cercato un lavoro vero e invece mi arrivò la sua telefonata “sbrogliavita”. Un mese dopo ero in onda a Radio Deejay e quello successivo presentavo Deejay Television su Italia1. La vita è una sorprendente serie di opportunità e porte scorrevoli. Non puoi prevederle, ma creare le basi per farti trovare pronto».

Da 34 anni fedele alla stessa radio: una bandiera come Totti, Maldini, Bergomi.

«Da 34 anni gioco con la stessa maglia ed entro pure dallo stesso portone. Le radio assomigliano molto alle squadre di calcio di un tempo. Esiste un’identificazione tra lo speaker e la radio dove lavora. Quelle poche volte che uno speaker di successo si sposta in un’ altra, difficilmente replica gli ascolti. Sono un panda perché il 90% di chi ha iniziato con me a metà anni ’70 ha smesso».

Ha mai pensato di aprire una sua radio?

«Sì, tante volte. Radio DeeJay è la mia radio ma tecnicamente non mi appartiene. Se la radio fosse mia a volte potrei fare anche scelte impopolari, tanto non devo rendere conto a nessuno. Ma ho avuto sempre una tale libertà di gestione da ritenermi un ragazzo fortunato».

Qualche peccatuccio…

«Niente di travolgente. A parte le bocciature a scuola e un matrimonio finito in maniera brusca. Ci siamo completamente persi di vista, ma magari un giorno… Però sono passato dalla padella alla brace: single solo sei mesi».

Già, arrivò Carlotta.

«Ci eravamo incontrati all’Acquafan di Riccione nel 1987. Io ero là per una telepromozione, servivano ragazzini per fare il pubblico. Tra loro c’era anche lei, la bellissima Carlotta. Aveva 17 anni, io 29. Le parlai senza malizia e capitò altre volte negli anni. Quando il mio matrimonio finì, la rividi casualmente nel 1992: uscimmo una sera e quello che prima era bello ma impossibile, si materializzò».

Su Instagram siete una coppia perfetta.

«Il mondo social t’impone di venderla come se lo fosse, ma la perfezione non esiste. In questi anni ci sono stati momenti complicati. Siamo stati in crisi un paio d’ anni ma ne siamo usciti venendoci incontro. Io ho 1000 difetti, non sono un compagno facilissimo. Sono preciso, riesco a fare 100 cose in contemporanea, mi ricordo tutto. Lei invece è stordita a livelli meravigliosi, ma io la invidio perché vive molto meglio di me. Inoltre spesso il mio affetto resta in trappola».

Mai con i suoi figli, però.

«Loro sono al di sopra di tutto, stiamo crescendo insieme. Filippo ha 22 anni e frequenta scienze politiche, Miki ha concluso la terza media con un tema che ci ha commosso. Insieme pratichiamo sport, andiamo al mare e Carlotta ci vizia ai fornelli».

Non aver insistito con la tv lo considera un errore?

«Probabilmente se avessi insistito, ora sarei lì con i miei amici Scotti, Bonolis, Fiorello, Fazio, Amadeus… Quando avrei dovuto dedicarmici sul serio diventai direttore di Radio Deejay, del gruppo Espresso: un grande impegno ma anche un ostacolo “politico” per me figlio di Italia 1. Ogni volta che venivo proposto per un programma importante, il mio nome era stoppato all’ ultimo perché “nemico”. Una stronzata».

Baglioni riconfermato alla direzione di Sanremo. Cosa ha più di lei?

«Lui è nazionalpopolare. È il mio lavoro e la mia vita, il Festival saprei presentarlo al meglio e, forse, meglio. Ma lui ha il carisma che io non ho su quel palco e dentro quella scatola che si chiama Rai1».

Il 30 ottobre compirà 61 anni. La vecchiaia le fa paura?

«Sì, tantissimo. Frequento un mondo che ha mediamente 20 anni meno di me, ragiono e mi sento come uno di loro. Invidio i miei coetanei che sono invecchiati piano piano e sono allineati all’ età che hanno. Devo prendere coscienza dei miei anni».

Lei ha aderito a #iononstoconSalvini del mensile Rolling Stone.

«Rolling Stone mi chiese due righe su Salvini che conosco. È un ragazzo sveglio e ha capito come funziona la comunicazione ai tempi nostri. Scrivo che i migranti sono un problema, che fa bene a farsi sentire visto che abbiamo a che fare con una Ue scorretta ed egoista, ma che non mi piace il modo e il tono con cui lo fa. Agli italiani piace sempre l’ uomo forte e decisionista ma non va bene gestire l’ immigrazione in maniera strumentale come quando si è in campagna elettorale da segretario della Lega. Ora è un ministro. Ma a mia insaputa vengo messo in un calderone per lanciare una campagna paracula contro di lui. Non lo voterei mai, ma allo stesso modo non avrei mai accettato, sapendolo, di entrare in questo giochino da cui mi dissocio. Non credo che questo governo fa o farà solo cose stupide, cose stupide le ha fatte anche chi li ha preceduti. La sinistra è ridicola, pontifica dall’ alto senza rispettare la pancia del Paese che ha preso un’altra direzione».

Paola Pellai, Libero Quotidiano

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