Yellowjackets è molto più che la versione aggiornata di Lost

Tra il 2004 e il 2010 i nostri occhi erano puntati su un’isola misteriosa a largo dell’oceano Pacifico. Là si era da poco schiantato il volo Oceanic 815, dando vita a una storia che passerà agli annali con il nome di Lost. Sconvolse il format seriale per come lo conoscevamo, con i flashback che mescolavano più linee temporali, unendo in un intricato labirinto le storie narrative dei personaggi. A distanza di undici anni, Yellowjackets, la nuova serie di Showtime disponibile su Sky, raccoglie la sua eredità trasformandosi in una versione aggiornata di Lost, forse il migliore upgrade di sempre e sconfinando in altro. Non solo è più inquietante e disorientante della serie di Jack e Sawyer, è un’escalation di violenza che parte con l’aggressività fisica per trasformarsi in verità psicologica.

Non ci sono isole. Siamo nel 1996, una squadra di calcio femminile di un liceo del New Jersey, le Yellowjackets, parte per Seattle per un torneo nazionale. Sopra i boschi canadesi, l’aereo crolla lasciando le ragazze, i due figli del coach e un giovane allenatore, dispersi in mezzo al nulla – niente di strano per chi viene da scuola Lost, tante domande, poche risposte. Anche quei piccoli cenni di soprannaturale sembrano parte della ricetta soprattutto perché al limite con il genere horror. E così anche i continui rimandi al presente, venticinque anni dopo.

Che qualcosa di profondamente inquietante sia accaduto in mezzo a quei boschi, lo sappiamo fin da subito (più o meno come lo sappiamo sempre per le serie e i film ambientati nei boschi, The Blair Witch ProjectNightlightdel 2015, Eden Lake del 2008): la serie si apre con una ragazza in pericolo, una scena di cannibalismo e poi più niente. E fino all’ultimo secondo dell’ultimo episodio, non possiamo dire di averci capito davvero qualcosa: ogni episodio ha il suo plot twist e ogni personaggio è costruito in modo tale da sorreggere e portare avanti due trame: quella del 1996 e quella del 2021.

Tra i segreti del successo di Yellowjackets c’è sicuramente il cast composto al 90% da donne. Due controparti quasi perfette, tra cui anche una Christina Ricci sorprendentemente uguale al suo personaggio più giovane. Queste coppie anticipano chi riuscirà a fare ritorno a casa, lasciando il desiderio di conoscere anticipatamente la maniera in cui ci riusciranno. In Yellojackets c’è l’analisi del trauma e delle sue deruve e conseguenze, un escamotage che permette, a differenza di Lost, di assistere all’evoluzione di quelle ragazze. Un aspetto che rende la serie matura e che permette di affrontare più sfaccettature possibili dell’universo femminile. 

Anche i temi superficiali, come gli amori, i tradimenti e le amicizie incrinate, diventano indispensabili, complicati e profondamente irreparabili, ma soprattutto, assistiamo alla crudeltà trasportata dalla disperazione, e alla relativa vergogna per quanto fatto. Perché in Yellojackets accettiamo di credere a tutto, e verso la fine accettiamo persino di venire traditi, accettiamo l’orrore e lo spavento e la voglia costante di chiudere gli occhi lasciando uno spiraglio aperto, consapevoli che questa sia la serie da vedere adesso nonostante e soprattutto perché si ha paura di vederla.

cosmopolitan.com

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