Per avere una vaga idea di cosa rappresenti per gli americani I Love Lucy, una delle sitcom più popolari degli anni Cinquanta, dobbiamo partire da Pretty Woman. Poco dopo averla rimorchiata e averla portata nella sua suite all’ultimo piano del Beverly Wilshire, Edward sistema le ultime telefonate mentre Vivien si stende sulla moquette e si sbellica dalle risate guardando Lucille Ball che pigia l’uva in televisione. Per il pubblico italiano, è il sorriso bianchissimo di Julia Roberts l’elemento in grado di farci capire quanto una serie possa diventare un classico, così come gli interpreti che se la sono cucita addosso: Lucille Ball e Desi Arnaz, che negli anni Cinquanta non solo erano gli attori più pagati e richiesti della televisione statunitense, ma anche delle icone capaci di influenzare i gusti e i costumi di ben sessanta milioni di americani. A raccontare uno spaccato della loro storia dentro e fuori dal set è un film, Being the Ricardos, scritto e diretto da Aaron Sorkin che, dopo essere tornato a bocca asciutta dagli ultimi Oscar per Il processo ai Chicago 7, prodotto da Netflix, quest’anno ci riprova con Prime Video.
La vicenda è furbamente circoscritta a un episodio in particolare: la settimana del 1952 durante la quale Lucy, interpretata da Nicole Kidman, vive con angoscia il fatto che Walter Winchell abbia detto, durante la sua trasmissione radiofonica, che «la più popolare delle star televisive deve confrontarsi con la sua appartenenza al Partito Comunista». Sono gli anni in cui Joe McCarthy dà la caccia ai presunti comunisti del Paese compilando una lista nera che sbarra la carriera a tutte le star di Hollywood considerate sospette e Ball, una donna che ha faticato tutta la vita per cercare di raggiungere la sicurezza economica e l’autonomia decisionale, rischia di perdere tutto. L’inquietudine del suo stato emotivo si riflette nel perfezionismo che ricerca nella realizzazione di una nuova puntata di I Love Lucy: ogni cosa, nella sua testa, deve essere perfetta per fugare ogni dubbio, visto che il più piccolo errore potrebbe costarle la reputazione e l’avvenire. La situazione, naturalmente, si riflette nel suo rapporto con Desi, interpretato da un eccellente Javier Bardem, marito devoto ma anche un po’ farfallone che con Lucy vive a fatica una relazione che ha pian piano abbandonato l’amore per trasformarsi in una dipendenza che ha ragione di esistere soprattutto per il futuro professionale che condividono.
I dialoghi sono molto sorkiniani: densi, ricchissimi di sfumature e capace di restituire un quadro abbastanza complesso della mente di Lucy, la vera protagonista del film, immagine di una donna che in scena accetta di apparire «infantilizzata» per assecondare i gusti del pubblico, ma che nella vita è ossessionata dalla ricerca della battuta perfetta mettendo gli sceneggiatori e gli autori in una condizione di stallo dalla quale vorrebbero disperatamente uscire. Being the Ricardos, che conta sulla presenza di altri grandi attori come J.K. Simmons e Nina Arianda, racconta, però, anche l’ipocrisia della buoncostume che considera scandalosa l’idea di mostrare in televisione una donna incinta, e le insicurezze di una professionista che lotta per essere presa sul serio. La nota dolente? Il lavoro sull’alterazione dei tratti somatici che ha visto applicare alla Kidman diverse protesi facciali che ne hanno alterato la recitazione trasformandola, più che in Lucy Ball, in una versione androgina di Glenn Close, senza contare il lifting digitale che ha ringiovanito sia lei che Bardem nei flashback. In presenza di una prova recitativa così intensa, forse sarebbe stato il caso che gli interpreti restassero così com’erano per permettere al pubblico di concentrarsi, più che sulla loro somiglianza a Lucy e a Desi, a ciò che sono riusciti a trasmettere. Una dote che difficilmente passerà inosservata ai giurati dell’Academy.
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