Biagio Antonacci: “Non seguo le tendenze. E canto la gente comune”

Vuoi tu Biagio sposare la qui presente musica? «Questo disco è stato il ricongiungimento coniugale con la musica». Così Biagio Antonacci presenta Chiaramente visibili dallo spazio, il suo nuovo album di inediti. Un passo laterale rispetto a una carriera dove le chitarre rock si lasciavano accompagnare da arrangiamenti pop. Grazie alla produzione di Taketo Gohara (maestro di eleganza acustica) e Placido Salamone le canzoni sono rivestite da strumenti suonati e da arrangiamenti minimalisti. «Questo disco nasce dall’intenzione di fare di più il cantautore. Volevo distinguermi dal resto del panorama musicale, senza fare quello che va di moda e funziona adesso. Le canzoni sono nate al pianoforte, chitarra e contrabbasso, poi abbiamo aggiunto altri suoni senza tradire quell’impostazione iniziale così intima. Un primo passo per arrivare al disco che sogno da tempo, solo voce e chitarra. Chissà se mai lo farò, l’importante è avere un progetto davanti per sentirsi ancora vivi, ancora con un obiettivo da raggiungere», ammette Antonacci.

Anche l’uso della voce è cambiato. Quasi da crooner. «Ho usato dei microfoni vintage che tirano dentro tutto, anche il respiro. È un progetto lavorato “a mano”, i musicisti ad esempio scrivevano le partiture con carta e matita, in un mondo che sta perdendo il lato fisico delle cose». Lui e Laura hanno mantenuto fede alla parola data: dopo i concerti basta. Non ci sono altri duetti. «Canterei sempre con Laura, ma il bello è che è stata una cosa unica. Non ci sono altri featuring perché le canzoni non avevano spazi per altri. Dopo l’espressione massima del pop di quel tour ho avuto l’esigenza di affrontare il disco, come ho sempre fatto, da solo. Magari in futuro tornerò a collaborare con altri artisti, ma ho più l’ambizione del conquistatore. Penso che mi troverei bene con qualcuno indie, qualcuno con la chitarra in mano, perché la trap non è il mio linguaggio».

Il titolo prende quello di una canzone che parla di una coppia. Ma Biagio gli affida un significato più ampio. «Siamo visibili perennemente, siamo controllati e gestiti. Le strade non sono frequentate da corpi e anime ma da telecamere. A guardare dall’alto questa epoca ci si sente piccoli. Ma anche così restiamo visibili, grazie ai sentimenti che non dobbiamo perdere». Il mondo fatto di pixel lo preoccupa. «Siamo intrappolati dal virtuale. Per questo ai miei figli insegno la manualità. Io continuo a guidare il trattore nei campi. E ho imparato a usare la saldatrice per fare installazioni artistiche con il ferro. Se finiremo presto gestiti da intelligenze esterne, la personalità dell’uomo passerà dalle mani». In La vanità canta «gli anni appassiscono»: «Il tempo passa, ho 56 anni. Mi piace allenarmi, fare tardi la sera… ma anche se li porto bene, gli anni passano. Ci sono e guai a chi ce li toglie. Da piccolo ho sempre voluto essere più grande, adesso sono pronto ad essere più grande. La parte bella di essere uomo è poter dire di aver capito qualcosa in più della vita».

L’amore e il sentimento sono i temi dei testi, anche se qua e là ci sono piccoli frammenti di attualità, come la politica da bar, il sogno di confini divisi dai fiori e l’inno alla normalità di Una brava persona. «Questa canzone mi è nata un mattino guardando le persone che aspettavano l’autobus per andare a lavorare. Ho pensato alla fortuna che ho nel non avere una vita scandita da quei ritmi. Quelle sono le brave persone, non gli eroi che durano un secondo. Vengo da una famiglia che stava in periferia e faceva fatica ad arrivare a fine mese, ho lavorato 8 anni in un cantiere come geometra, conosco bene il valore del denaro perché non lo avevo e poi l’ho avuto: questo mi fa sentire con i piedi per terra e mi sento una persona nobile».

Andrea Laffranchi, Corriere.it

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