Liv Tyler e l’incontro con Bernardo Bertolucci: mi trattava come una figlia

L’attrice ricorda il regista scomparso che la scelse per primo in un film importante come «Io ballo da sola»: per una scena di ballo mi ha anche insegnato i passi di danza

«Il mio incontro con Bernardo Bertolucci e tutta la lavorazione di Io ballo da sola, il nostro film, il mio primo film importante, sono indimenticabili. Avevo meno di 16 anni quando fui scelta come protagonista di quella che io considero una sorta di favola d’amore e di presa di coscienza di un’adolescente. Tutto fu magico. La scoperta della Toscana, le soste della produzione chiacchierando con Jeremy Irons e sua moglie, poi a film concluso la presentazione al festival di Cannes e il mio grandissimo batticuore». Liv Tyler racconta tutto d’un fiato il suo rapporto con Bertolucci.

Perché la scelse?

«Mi diceva sempre d’avermi preferita tra tante aspiranti alla parte perché avevo una personalità solare, che, a suo parere, avrebbe ridato il senso più completo della giovinezza a quella comunità di artisti e anche anime perse che abitano la villa in Val d’Orcia in cui è ambientato il film. Mi aveva vista in un book dell’agenzia di modelle per cui a volte lavoravo».

Che ricordi ha del set?

«Con Bernardo, nelle soste del film, si andava spesso a fare una passeggiata sulle strade di polvere bianca che portavano al casale delle riprese. Mi trattava come una figlia da far crescere con saggezza e con precauzione per non urtare la sua sensibilità. Abbiamo parlato tanto, per una scena di ballo mi ha anche insegnato i passi di danza che voleva».

Come per Lucy, la protagonista, anche per lei quel film è stato un percorso di formazione. Le capita di pensare che, in qualche modo, «Io ballo da sola» le ha insegnato tante cose e per tutta una vita?

«Sempre. E ho voluto scriverlo anche su Instagram perché ci sono film che possono davvero aiutare i ragazzi a crescere, a scegliere direzioni giuste, anche a vivere con leggerezza e verità le loro relazioni, i primi rapporti sessuali. Proprio come accade a Lucy. In quel film c’è il senso lieto della vera giovinezza, fatta di slanci, che Bernardo sempre portava nel rapporto con gli altri. Sapeva parlare alle donne, era speciale in questo, aveva come un lato femminile nella delicatezza con la quale entrava nel mondo delle donne dei suoi film. Aveva anche alcune timidezze e un grande pudore e cercava sempre una armonia, una sintonia con i suoi attori».

Se potesse riavere l’età e la freschezza ancora senza tante esperienze della Lucy di «Io ballo da sola» cambierebbe qualcosa in quella che poi è stata la sua vita?

«No: il film diretto da Bernardo mi ha dato serenamente l’attesa e la realtà legate al momento di quello che ho vissuto e che vivo nel presente. Lucy, secondo me, era l’alter ego femminile di Bernardo, nel mio personaggio ha messo molto di se stesso».

Giovanna Grassi, corriere.it

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