LA RAGAZZA SENZA NOME di Luc e Jean-Pierre Dardenne, OUJIA – L’ORIGINE DEL MALE di Mike Flanagan, DOCTOR STRANGE di Scott Derrickson e TROLLS di Mike Mitchell e Walt Dohrn: le recensioni
LA RAGAZZA SENZA NOME di Luc e Jean-Pierre Dardenne. Con Adele Haenel, Jérémie Renier, Olivier Gourmet. Belgio, 2016. Durata 102’. Voto 5/5 (DT)
OUJIA – L’ORIGINE DEL MALE di Mike Flanagan Con Elizabeth Reaser, Henry Thomas, Lulu Wilson. Usa, 2016. Durata 94’. Voto 3/5 (DT)
Los Angeles 1967. La vedova Alice, assieme alla figlia adolescente Doris e alla piccola Lina, finge con abili trucchi e la cruciale collaborazione dei familiari, di essere una sensitiva rievocando defunti nel salotto di casa. Non c’è malizia, in quello che fa, perché è a suo modo fornisce un aiuto “a chi ha perso qualcuno”. Quando però a forza di scherzare e sdrammatizzare, complice il gioco di società con lettere e tavoletta/”bicchierino” che si muove da solo, le tre donne si mettono realmente in contatto col padre/marito morto, non fanno altro che aprire la strada al ritorno degli spiriti che ancora abitano lo scantinato di casa fin dagli anni quaranta. Prequel del successo commerciale (in Usa) Oujia (2014), il film di Flanagan colpisce per classicità nella costruzione di un’atmosfera d’epoca perbenista e vintage (c’è pure il collegio cattolico con preti e suore); come per una tradizionale rappresentazione anni cinquanta/sessanta del terrore dove lo spavento è qualcosa di presunto, sussurrato, evocato, ma mai visivamente e materialmente mostrato. Questo almeno per i primi 45 minuti di film che filano via lisci ed intriganti; poi quest’impostazione lascia il passo agli stilemi dell’horror contemporaneo che puntualmente si riappropriano di un finale narrativamente ingarbugliato e tecnicamente piegato ad acrobazie ed effettistica dei posseduti. Gli attori, soprattutto la piccola Lina/Lulu Wilson, autentico perno dell’invasione malvagia, lavorano con non poca grazia e ponderazione nella credibilità di ruoli apparentemente frusti da casa degli spiriti come fossero in un canonico dramma.
DOCTOR STRANGE di Scott Derrickson, con Benedict Cumberbatch, Tilda Swinton, Chiwetel Ejiofor, Rachel McAdams USA 2016 Durata: 115’ Voto 3/5 (AMP)
“Dimentica ciò che credi di sapere”. Fosse facile per un neurochirurgo di fama internazionale completamente “tarato” sul proprio egocentrismo. Eppure anche il dr. Stephen Strange non ha scelta se ha intenzione di guarire da una menomazione invalidante la professione medica. A garantirglielo è l’Antico, una guru dai superpoteri nonché maestra idolatrata dai seguaci di una “setta” confinata ai piedi dell’Himalaya. Ciò che però il Doctor Strange ignora è che la vita l’ha destinato ad un altrove che supera le dimensioni sensoriali dell’uomo comune. Ad attenderlo è il misterioso “multiverso”, un luogo oltre il Tempo, lo Spazio e la Materia. Tra scienza e fantasia infarcita di esoterismo, trova dimora il personaggio di Marvel Comics Doctor Strange, che ha atteso parecchi decenni prima di mutare in un supereroe da blockbuster cinematografico. A seguirne il classico percorso “da primo episodio” (dalla genesi allo sviluppo dei poteri magici) è il regista di horror cult quali L’esorcismo di Emily Rose (2005), Sinister (2012) e Liberaci dal male (2014) che, naturalmente, apporta quel sapore oscuro e misterico a una storia altrimenti destinata nei canoni dell’ action/fantasy. Se infatti già negli anni ’60 e ’70 i lettori del fumetto erano incalliti adepti alla psichedelia dilagante anche dovuta all’uso disinvolto di stupefacenti, gli spettatori di oggi troveranno nel medico-stregone il piacere delle atmosfere gotico-orientali unite alla psico-fantascienza estrema del miglior Chris Nolan, con tanto di capovolgimenti dimensionali di cui Inception è l’incontestabile capostipite. A vivacizzare il tutto è uno humor sottile di matrice britannica come il protagonista Cumberbatch (e alcuni colleghi) che aiuta a sostenere il ritmo di una narrazione a rischio di integralismo mistico. Interessante è la scelta dell’identità del villain, checché ne dica il malvagio Mads “Kaecilius” Mikkelsen: “il nostro nemico è il Tempo, esso è un insulto alla vita”. Da vedere in 3D senza perdere la sorpresa post titoli di coda. Ovvio il sequel a venire.
TROLLS di Mike Mitchell e Walt Dohrn USA 2016 Durata: 93’ Voto 3/5 (AMP)
“Se bastasse una sola canzone… “ intonava Eros Ramazzotti una ventina di anni fa. Ma solo da oggi il cantautore romano (o relativi discendenti) può comprendere la misura profetica della sua frase. Ad appropriarsela, infatti, sono i Trolls, antichissimi folletti del profondo Nord che prendono corpo nell’omonimo film d’animazione DreamWorks, completamente dedicato ai piccoli di un target fra i 5 e i 10 anni al massimo. Il senso è tutto lì: misurare allegria, colori e canzoni alle oggettive difficoltà della vita, senza eccedere nel verso dell’ottimismo o in quello del pessimismo estremi. Perché solo di questo possono essere accusati i nostri eroi, cromaticamente capelluti e guidati dalla rosea principessa Poppy a soccorso dei compagni fatti prigionieri dai perfidi Bergen. Questi ultimi sono incapaci di felicità tranne quando si nutrono di Trolls, soprattutto in una giornata dell’anno non casualmente denominata “trollstizio”. Benché la pellicola sia volta ai piccini, ciò non la priva di una certa cura e originalità nelle scelte espressive, che vedono prediletta la selezione musicale (nel film si canta moltissimo, non a caso tra le voci originali compaiono i nomi di Justin Timberlake e Gwen Stefani…) con citazioni rielaborate di titoli top quali The Sound of Silence, Happy, Eclypse of the Heart e quella celebrativa della miglior tradizione animata, Cenerentola su tutti. Il pubblico juniores si delizierà e divertirà parecchio.
di Anna Maria Pasetti e Davide Turrini, FQ Magazine