La resa dei Simpson al politicamente corretto

La popolare serie americana compie trent’anni ma non è più la stessa. Un po’ c’entra l’età (chi nasce incendiario muore pompiere), un po’ la moderna tirannia del politically correct, che ha portato all’eliminazione del personaggio di Apu

I Simpson? “Sono la rappresentazione deformata e dunque ancora più reale della famiglia media americana”. Creati a immagine e somiglianza della sua stessa famiglia da Matt Groening (“dare a Bart il mio nome sarebbe stato troppo ovvio”), i cinque membri della famiglia più sgangherata degli Usa, nel paradosso dei singoli caratteri, sono sempre stati l’essenza (bassa) dell’animo umano: anarchica, dissacrante, politicamente scorretta, corrosiva. E’ sempre stata questa la forza della serie, non fare sconti a nessuno, a partire dal capobranco wasp Homer — inetto come pochi — che era il lasciapassare per ironizzare su tutto e tutti, per fare sarcasmo su stereotipi razziali, religiosi, di genere, senza essere accusati di pregiudizi.Ma ora infuria la polemica culturale, perché “anni di politicamente corretto hanno lavorato sotto traccia, così nella società dell’indignazione a misura dei social si sono rimosse le parole ‘sbagliate’, si sono messi all’indice termini scorretti e gli stereotipi sono diventati degni di caccia alle streghe” si legge in una celebrazione-analisi sulle pagine del Corriere della Sera del 24 aprile che annuncia i festeggiamenti per il loro 30esimo compleanno (su Fox dal 25 aprile c’è addirittura un canale dedicato ai loro migliori episodi e su Italia 1, dal prossimo autunno andrà in onda la 30ª stagione).Eppure, si legge ancora sul Corriere, “forse c’è poco da celebrare perché anche la più prospera spinta propulsiva alla fine sfiorisce in una recessione creativa”. In che senso? Nel senso che spesso si nasce incendiari e si muore pompieri. Secondo l’analisi del quotidiano di via Solferino, i Simpson stanno percorrendo “la parabola di molti ribelli che diventati adulti finiscono remissivi e integrati al sistema rischia di diventare la traiettoria creativa dei Simpson, schiacciati dal politicamente corretto e dal conformismo neopuritano che riduce tutto a un pensiero unico che inaridisce la libertà espressiva”. Sarebbero infatti lontani i tempi in cui il loro creatore, Matt Groening, “poteva andare fiero di rivendicare che ‘ogni puntata fa arrabbiare qualcuno e questo mi rende felice’”, perché ora questo non accade più, “colpa del tempo che passa e della società che cambia”.

Il caso Apu, un segno dei tempi
Il punto è che i Simpson “sono rimasti ancorati a un tempo che non c’è più, prototipo di una famiglia in via di estinzione: i rapporti sentimentali sono sempre più liquidi, ma la famiglia Simpson resiste graniticamente unita, al di là del fatto che in un episodio si sia celebrato il divorzio tra Marge e Homer («il matrimonio è una bara e ogni figlio è un chiodo in più»)”. Ma non è tutto: le crepe sono più d’una e anche ben più profonde: in questo “il caso Apu è emblematico, fatto secco da un colpo ben assestato di politicamente corretto”.Spiega il giornale che “il gestore indiano del Jet Market di Springfield aperto h 24, un marcato accento che tradisce le sue origini, cavalcava i luoghi comuni. E per questo è finito sotto accusa”. E così sull’onda della polemica montante, Groening ha provato a difendersi con queste parole: “Qualcosa che quando iniziò decenni fa era apprezzato e considerato non offensivo, ora è ritenuto politicamente scorretto. Cosa ci possiamo fare?” E così la risposta si è rivelata al tempo stesso anche una sconfitta perché “Apu è stato cancellato e rimarrà vivo solo nell’empireo dei ricordi indù”. Dopo il danno anche la beffa.

E anche l’episodio su Michael Jackson viene cancellato
Secondo il giornale di recente anche “Michael Jackson è stato bruciato sull’altare della correttezza a ogni costo”. Racconta ancora il Corriere, che “dopo l’uscita del documentario Leaving Neverland sui presunti abusi sessuali della popstar, l’episodio in cui il cantante era protagonista è stato cancellato”. Così sì è giustificato uno dei produttori: “Sono contro i roghi di libri di qualsiasi tipo, ma trattandosi di un nostro libro abbiamo il permesso di tirar fuori un capitolo”.Una excusatio non petita. Un cartone animato, in sé, è solo un cartone animato e nulla più. È comicità allo stato puro che non va né presa sul serio né ingabbiata. E non può diventare Verbo. Qualora lo diventi, il problema non è di chi sta dentro lo schermo o dello schermo che trasmette. È, semmai, di chi ci sta davanti e lo interpreta in maniera bacchettona, tira le somme a grandi linee il quotidiano milanese. Già, i tempi sono proprio cambiati. E malamente corrono… A forza di autocensure si perde anche l’irriverenza. Che in molti casi è anche la forza del poter cambiare lo stato dell’arte.

Alberto Ferrigolo, Agi

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