Francis Ford Coppola, alla corte degli studenti. La lezione assoluta: “Dobbiamo tutti chiederci che cosa ci darà il cinema in futuro”

Il grande regista, ospite della città di Bologna dove, nell’ambito del festival ‘Il Cinema Ritrovato’, questa sera verrà proiettato il suo capolavoro restaurato, ‘Apocalypse Now – Final Cut’, ha tenuto una Masterclass davanti a centinaia di giovani studenti della settima arte

Doveva essere una Masterclass, una lezione di cinema, il primo dei due incontri tra Francis Ford Coppola e la città di Bologna (il secondo la presentazione dell’anteprima europea di Apocalypse Now – Final Cut, venerdì sera in piazza Maggiore), ma al Teatro Manzoni, accanto a Gian Luca Farinelli, direttore della Cineteca che ha invitato il cineasta per la 33esima edizione del festival “Il Cinema Ritrovato”, Coppola mette subito in chiaro: “Nessuna lezione, sarà una conversazione tra uno studente e gli studenti”. Ottant’anni, regista e sceneggiatore di opere come Il Padrino, La Conversazione, Dracula di Bram Stoker, vincitore di premi Oscar, Leone d’Oro, Golden Globe, Francesco (così voleva che si chiamasse suo nonno, Francesco Pennino, napoletano emigrato negli Stati Uniti, ma sua mamma, Italia, ha preferito far emergere la parte americana del sangue e l’ha chiamato Francis) Coppola sente ancora di avere da imparare: “Continuo a godere del fatto che ci siano cose nuove da sapere – dice – tutti dobbiamo chiederci cosa ci regalerà il futuro per il cinema”. E non è affatto modestia la sua, tant’è che poi, con buona pace di Farinelli e Paolo Mereghetti, seduti alla sinistra e alla destra di Coppola con i loro fogli pieni di domande che avevano programmato di fare, è finita come voleva Coppola, con gli studenti (che tra le poltrone erano davvero tanti e provenienti da tutto il mondo) protagonisti: tutti raccolti sotto il palco a dialogare con il loro ‘collega’.Comunque prima di cambiare le regole e interrompere i racconti personali per dire: “Vorrei parlare con chi, qui dentro, vuole fare cinema sperando di dirvi cose che vi interessano”, Coppola si è concesso a qualche racconto, soddisfacendo le richieste dei due intervistatori seduti affianco a lui. Dalla famiglia italoamericana, all’influenza del cinema italiano sul suo lavoro, Il Padrino, il futuro del cinema e poi, naturalmente, Apocalypse Now, il suo tormentatissimo capolavoro che quest’anno compie 40 anni e che dopo una versione troppo tagliata, dopo una versione troppo lunga (Apocalypse Now Redux) è arrivato finalmente alla “versione perfetta”: Apocalypse Now – Final Cut. Presentato in anteprima a Il Cinema Ritrovato, uscirà in autunno nelle sale italiane, distribuito dalla Cineteca di Bologna.

Farinelli: Sua sorella è attrice, suo nipote è Nicolas Cage, sua moglie Eleanor e i suoi figli Roman e Sofia sono tutti registi, più che una famiglia è una factory…
“La mia famiglia italoamericana coltivava due grandi passioni: mio padre era un eccellente musicista classico, flautista nell’orchestra di Toscanini, mio nonno invece era appassionato di tecnologia e scienza (ha addirittura chiamato il suo primo figlio Archimede). Credo che il cinema sia venuto fuori dalla combinazione delle due, l’arte, la musica e la tecnologia. Per altro mio fratello maggiore era bravissimo a scuola, molto più di me, io ero un disastro. Desideravo però diventare un fisico nucleare come Enrico Fermi, dopo diversi tentativi e altrettanti disastri è stato mio padre a convincermi che non era la mia strada, ma avrei dovuto fare qualcosa di diverso”.

Mereghetti: Qual è il suo legame con il cinema italiano?
“Sono del 1939, la mia generazione è vissuta tra due tendenze forti: c’era il cinema hollywoodiano, la tradizione del cinema americano con i grandi Studi della California. Io e i miei fratelli andavamo a vedere i film di Billy Wilder o John Huston e ne eravamo impressionati. Poi c’era il cinema nuovo, quello che arrivava dall’Europa o dal Giappone. In particolare dopo la Seconda guerra mondiale cominciarono ad arrivare film dall’Italia, Rossellini, Fellini, Antonioni, Germi, e anche quelli furono una sorpresa, soprattutto perché a differenza di quelli hollywoodiani erano più personali, dedicati a questioni sociali. Essere ibrido, un italoamericano, ha influenzato anche la mia carriera da cineasta”.

Farinelli: Cosa ha imparato da Roger Corman con il quale ha esordito?
“Sono stato fortunato perché ero uno studente povero, vivevo con poco più di un dollaro al giorno: 25 centesimi per la colazione, 50 per il pranzo – mangiavo solo maccheroni and cheese, che erano economici ma mi fecero ingrassare tantissimo – e poco più per la cena. Affiancai Corman sul set di un film di fantascienza russo, inventai che capivo il russo perché avevo assolutamente bisogno di un lavoro. Sono diventato suo assistente e ho imparato da lui tutto quello che si poteva sapere su come fare un film senza avere praticamente soldi”.

Mereghetti: Perché la Paramount ha scelto un regista con poca esperienza come lei per dirigere Il Padrino?
“Il Padrino non doveva essere un film particolarmente importante, il budget iniziale era basso, circa 2 milioni di dollari, la Paramount non era sicura sull’esito e la scelta è ricaduta su un regista italoamericano perché la casa di produzione temeva risentimenti da parte di quella comunità che nel frattempo era diventata influente negli Stati Uniti – la Bank of America, ad esempio, era nelle mani di un genovese. Quindi hanno scelto me per raccontare la storia di gangster italoamericani perché se le cose non fossero andate bene mi si poteva imputare la colpa. Volevano un regista giovane pensando di gestire facilmente qualcuno senza esperienza e tutto sommato avevo una buona reputazione perché avevo scritto delle sceneggiature che erano piaciute”.

Farinelli: Come sarà il cinema del futuro?
“Sappiamo già che tutto sarà convertito e progettato in digitale, ma, ad esempio, mia figlia Sofia in questo momento sta girando un nuovo film e lo sta girando in pellicola. È il suo modo di fare parte dei 120 anni di cinema, quel cinema che ama così tanto. Molti registi la pensano come lei, in futuro però sarà possibile fare molte cose e prima o poi ci sarà qualcuno che si accorgerà che ci sono nuove tecnologie che permettono al cinema di volare. Immagino collaborazioni tra il cinema e i giochi online o la nascita del live cinema, film che sono un insieme di immagini in tempo reale”.

Mereghetti: Perché rimontare Apocalypse Now? Non bisogna mai fidarsi di una prima versione?
“Apocalypse Now è un viaggio strano e surreale, molto più di quanto pensassi quando ho iniziato a girarlo. Più prendeva forma più veniva fuori qualcosa di assurdo, dovevamo finirlo ma sembrava un’impresa impossibile. Era talmente strano che non poteva chiudersi con la classica battaglia finale. Prima che il film uscisse vennero pubblicati diversi articoli che denigravano Apocalypse Now, dicendo che era un disastro. Io ero parecchio frustrato quindi a Cannes nel 1979 ho deciso di portarlo non finito ma nella versione work in progress. La Palma d’Oro in ex aequo è stata una sorpresa, a quel punto abbiamo deciso di concluderlo. I distributori però volevano che lo tagliassi e togliessi tutte le parti più strane e così ho fatto, ho tolto tantissimo. Fortunatamente al pubblico è piaciuto. Due anni dopo mi trovavo in Inghilterra, stavano trasmettendo Apocalypse Now in tv. L’ho visto tutto ed è incredibile come cambiano le cose in due anni: improvvisamente non sembrava più così strano. I distributori allora mi hanno contattato dicendo di raggiungere le parti tagliate: il risultato, Apocalypse Now Redux è un film di 54 minuti più lungo. Per il quarantesimo anniversario del film ho cercato la lunghezza perfetta, un po’ di più dell’originale ma un po’ meno della versione Redux. Ho lasciato quindi quelle che credo siano le sequenze essenziali che rendono il film migliore. E poi in tutto, qualità del suono, delle musiche, delle immagini, Apocalypse Now – Final Cut sarà sorprendente”.

Giulia Echites, repubblica.it

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