L’ESTATE SECONDO CESARE CREMONINI

cesare cremoniniOrmai non c’è estate senza una canzone di Cesare Cremonini. Quest’anno è il turno di «Buon viaggio (Share the love)», check brano contenuto nel suo nuovo album dal vivo «Più che logico live». Per festeggiare questo ennesimo successo abbiamo incontrato Cesare nel mitico Grand Hotel di Rimini, e tra un caffè e una passeggiata in spiaggia ci siamo fatti accompagnare in un viaggio nelle sue estati. Del passato, del presente e del futuro.

Qual è il tuo primo ricordo dell’estate?
«Io sono cresciuto in campagna, dove erano le stagioni a scandire il tempo. Vicino a Bologna la mia famiglia ha una cascina in cui è cresciuta la mia mamma e dove mia nonna la domenica ci cucinava i tortelloni e le tagliatelle. E dove ho cominciato a sognare di fare il cantante, sempre d’estate, perché erano i mesi più spensierati. Le mie prime canzoni improvvisate le ho iniziate a immaginare durante queste lunghe estati passate a cacciare farfalle e giocare con le galline della nonna».

E al mare non andavi mai?
«Il mio ricordo da bagnasciuga e braccioli sopra i gomiti è legato a Maratea, in Basilicata, dove andavamo io, la mia mamma, il mio babbo e mio fratello, in treno con le cuccette. Avevamo sette valigie: me lo ricorderò sempre, perché mio papà mi diceva: “contale, sennò ce le rubano”. Si partiva di notte e ci svegliavamo in questa meraviglia italiana. È un’emozione che ho ancora dentro e la prima canzone che ho scritto nella mia vita, che si chiama “Vorrei”, l’ho scritta proprio a Maratea. Non avevo né la chitarra né il pianoforte, l’ho scritta a mente, probabilmente perché mi mancava la ragazzina che avevo lasciato a casa».

Le estati da adolescente come le passavi, prima di diventare famoso?
«Avevo 14 anni quando formai la mia prima band, i Senza Filtro. Le estati erano una piccola costrizione: dovevi stare con i tuoi genitori ma in realtà sognavi di andare a Riccione. La compagnia era diventata la cosa più importante, quella che a Bologna chiamiamo “la balotta”. Il mio rapporto con la Romagna è nato così, la nostra compagnia bolognese si mischiava con quella romagnola e… andavamo a fare danni. Eravamo dei pischelli molesti. Con la mia Vespa rossa facevamo da Bologna a Riccione, ma per noi era come la Parigi-Dakar. Durante quelle estati cominciai a scrivere le canzoni dei Lùnapop, passavo le nottate a scrivere».

Delle estati con i Lùnapop che ricordi hai?
«Per me è come sfogliare un libro di fotografie e guardare le prime pagine, è qualcosa che sento sempre più lontano. Ma i Lùnapop mi hanno insegnato a gestire in maniera molto positiva il rapporto con il grande pubblico. Il successo di “50 Special” mi mise subito addosso la responsabilità di avere un grande rispetto per i fan. Il ricordo di quelle estati, al di là delle vittorie e delle ubriacature da successo, è soprattutto questa visione meravigliosa di un pubblico che cresceva ogni giorno assieme a me, questa marea di gente che veniva a sentirci».

Cosa è cambiato da allora, cosa hai imparato in tutti questi anni?
«Appena ho iniziato la mia carriera da solista è come se avessi aperto gli occhi. E ho capito che la credibilità è una cosa che va conquistata giorno dopo giorno, disco dopo disco. I miei primi tre album rappresentavano una biografia fatta in musica, una sorta di diario musicale dei miei dieci anni di crescita personale. Da “La teoria dei colori” a ”Logico” fino al disco che farò in futuro, invece, sono stati gli anni di un equilibrio tra esperienza, entusiasmo e consapevolezza. Sono stati anni bellissimi che mi hanno permesso di portare cose nuove al mio lavoro. Il successo di questo tour che è finito, e di quello che sta per arrivare, è il risultato di un percorso unico».

Il tuo nuovo album dal vivo chiude in qualche modo la fase di «Logico»?
«Le quattro nuove canzoni sono il secondo tempo di una partita che stavamo vincendo: abbiamo deciso, visto che eravamo in vantaggio, di dare ancora più spettacolo, di giocare senza schemi e senza troppa razionalità. Vogliamo vincere divertendo il pubblico, senza pensare al risultato».

A proposito di calcio, l’estate 2015 è cominciata con una bella soddisfazione, il Bologna tornato in Serie A. Tu eri sugli spalti con Gianni Morandi, giusto?
«L’emozione della partita è stata così forte che le nostre coronarie sono state messe a dura prova. Gianni si è messo a piangere accanto a me, io cercavo proprio di sorreggerlo. Nella tradizione umana bolognese, che si passa di generazione in generazione, anche un ragazzino di 15 anni ha una coscienza del grande Bologna che è stato, dei tempi di Dall’Ara, del Bologna che faceva tremare il mondo. Quindi ogni volta si crea una tensione emotiva fortissima in tutti gli strati sociali. È una città molto speciale: quell’entusiasmo lo puoi trovare in ogni parte della vita pubblica bolognese».

A te piace essere abbinato all’idea di un «tormentone estivo»?
«L’estate, a differenza di un tempo, non chiede più la canzone sciocca o superficiale. Secondo me oggi è fondamentale che una canzone estiva abbia un contenuto, il pubblico chiede questo. Credo che “Buon viaggio” abbia una leggerezza e una canticchiabilità molto estive, ma non è una cosa premeditata. Però ti dico: a me piace scrivere canzoni durante l’inverno e poi andarmene al mare e ascoltare la mia canzone in sottofondo».

E quali sono le tue canzoni dell’estate 2015 invece? A parte la tua.
«Faccio molto il tifo per il mio Paese, quindi i nuovi singoli di Jovanotti, di Vasco, di Tiziano Ferro. Perché so cosa vuol dire richiamare il pubblico ai grandi eventi, visto che li sto organizzando anche io. Andrò a vederli sicuramente negli stadi, e poi non vedo l’ora di andare al concerto di Bob Dylan».

Nel lungo libretto contenuto nel disco ci fai entrare nella tua mente nelle ore prima di un live… Com’è nata quest’idea?
«Quello è un momento in cui l’artista è protetto ai come un animale in via d’estinzione. È un momento nascosto e difficile da raccontare con una canzone o da spiegare a parole, c’è bisogno della penna e di un po’ di poesia. Ho voluto provare a spiegare come il pubblico e l’artista, anche prima del concerto, vivano vite parallele che portano al momento in cui inizia il concerto: un’esplosione cosmica potentissima di empatia reciproca».

Nel disco c’è «46», l’inno ufficiale dello Sky Racing Team. Cosa ti ha detto Valentino Rossi quando l’ha sentita la prima volta?
«Gli è piaciuta un sacco. Il mondo delle due ruote, l’agonismo che c’è dentro e l’onestà con cui questi ragazzi entrano in pista la domenica pomeriggio, sono cose che mi hanno insegnato tantissimo nel mio lavoro. Perché dimostrano in maniera inequivocabile, molto più di quanto riesca a fare un cantante, quanto la passione sia tutto quello che si ha nella vita. La passione per un sogno, per un’idea. La loro passione è più forte della paura. Il mio libricino inizia con la frase “Nessuno può fermare un uomo che ha paura”. L’ho imparato attraverso le straordinarie imprese di questi ragazzi».

Il 23 ottobre inizia il tuo nuovo tour. Cosa ci dobbiamo aspettare?
«Sarà uno spettacolo nuovo, ma con la voglia di portarci dietro tutto ciò che abbiamo imparato dal tour scorso. Credo che le canzoni nuove saranno molto divertenti dal vivo, perché sono tutte energiche, adatte al battimano, a essere cantate a squarciagola. Credo che sarà il tour dei tour, dopo si potrà mettere un punto e a capo. Alla fine, tutto ciò che vogliamo da un concerto è quello di andare a fare la doccia all’una di notte ancora brilli della gioia che abbiamo provato».

Che sorprese state studiando?
«Il mio rapporto con il palcoscenico non ha bisogno di cose pacchiane o effetti speciali, quello che mi serve è la possibilità di far arrivare fino all’ultimissimo spettatore le emozioni che sto provando e la grinta che sto tirando fuori. Sto preparando uno spettacolo dove la musica, ancora una volta, sarà al centro. Ci sarà una band molto ampia, di nove elementi, gli stessi dell’anno scorso tranne Marco Tamburini che è morto pochi giorni fa: è stato un grande dolore, e sostituirlo sarà difficile. Sarà un nuovo viaggio, forse è anche quello con cui tornerò a casa. L’ultimo ricordo che io e i fan potremo avere insieme, per un po’ di tempo».

Perché, poi ti fermerai?
«Sicuramente, perché sono quattro anni che sono fuori con un singolo costantemente. Credo di aver dato molto ma anche di aver ricevuto altrettanto da parte dei media e del pubblico. Non voglio abusare di questa fiducia, voglio che quello che propongo sia sempre all’altezza di questa generosità».

Veniamo alle estati future. Dove sarai tra un anno?
«Credo che l’estate prossima la passerò in studio. Sto ampliando il mio studio di registrazione a Bologna che mi permetterà di lavorare sui prossimi dischi in modo straordinario. Nel frattempo però un sogno che ho è quello di fare un lungo viaggio. Da solo o con qualcuno, non importa. Vorrei stare via due o tre mesi, portando con me una chitarra. Se avrò questa fortuna, chissà, può darsi che la prossima estate starò scrivendo una canzone mentre faccio il giro del mondo».

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