Dal 1 Marzo al cinema: Quello che non so di Lei

Un’opera affascinante e costantemente sul filo del rasoio del rapporto tra finzione e realtà

Delphine è l’autrice di un romanzo dedicato a sua madre che è diventato un best seller. La scrittrice riceve delle lettere anonime che l’accusano di avere messo in piazza storie della sua famiglia che avrebbero dovuto rimanere private. Turbata da questa situazione Delphine sembra non riuscire a ritrovare la volontà per tornare a scrivere. C’è però un’appassionata lettrice che entra nella sua vita. Sembra riuscire a comprenderla e a sostenerla in questo momento difficile con la sua capacità di intuizione e con il suo charme tanto da divenirle così necessaria da invitarla a condividere il suo appartamento. Sarà una buona scelta? Ci sono Autori (quelli con l’iniziale maiuscola) che tendono a ripetere i propri stilemi. Altri che cercano ogni volta di sperimentare nuovi percorsi. Altri ancora (e Polanski è uno di loro) che non abbandonano le tematiche preferite ma provano a variarne le modalità di messa in scena. È lui stesso a riconoscere che in questo caso tornano temi che lo hanno appassionato fin dalle origini (Cul-de-sac, Repulsion) per giungere fino a Rosemary’s Baby. Con in più l’interesse nei confronti della possibilità di utilizzare il personaggio di uno scrittore o il tramite di un libro per sviluppare una storia, come accaduto con La nona porta e L’uomo nell’ombra. Se ci aggiungiamo che il romanzo di Delhine De Vigan, a cui il film si ispira senza mai tradirlo, ha qualche debito con “Misery non deve morire” di Stephen King si potrebbe pensare di essere di fronte ad un deja vu, seppure di alta qualità. Non è così perché per la prima volta nel cinema di Polanski (questa è la variante sostanziale) il confronto è tra due donne e va subito detto che Seigner e Green sostengono il duetto/duello con grande aderenza ai personaggi. Il film si muove costantemente sul filo del rasoio del rapporto tra finzione e realtà: chi è veramente Elle? Quanto ciò che Delphine le attribuisce è realmente accaduto? Attraverso quali percorsi si arriva al processo creativo? Chi alla fine, sempre che tutto quanto mostrato sia effettivamente accaduto, ha sfruttato e manipolato l’altra? È lo stesso Polanski a proporre questa ambiguità quando dice che, così come in Venere in pelliccia non è dato sapere quanto ci sia di reale e quanto di finzione e che proprio qui risiede il fascino della messa in scena. Che è poi la ragione per vedere un film unita al piacere che uno spettatore può provare nel ripercorrere sentieri cinematografici già battuti ma riproposti da un maestro dello stile.

Mymovies.it

Torna in alto