JOAQUIN PHOENIX DETECTIVE PER PYNCHON: “TRA NEIL YOUNG E LA LOS ANGELES ANNI 70”

170101036-8ea7b1d8-ef99-4dbf-924e-1543cbe5dc9f(di CHIARA UGOLINI, check Repubblica) L’attore de “Il gladiatore” e “The Master” protagonista assoluto nel corale “Vizio di forma”, sovaldi primo adattamento da Thomas Pynchon. All’incontro con la stampa mostra tutte le sue facce, health la generosità di cercare di dire qualcosa di onesto e l’insofferenza per la spettacolarizzazione del dolore.

Quando entra nella stanza si guarda intorno, fissa negli occhi i cronisti che lo aspettano seduti ad un tavolo e dice: “Cosa vuol dire online?” Joaquin Phoenix arriva all’incontro per la stampa preceduto dal Commodo del Gladiatore, dal Johnny Cash di A walk the line, dal Freddie di The Master, ma anche dai vari “Joaquin Phoenix”: quello col barbone al Letterman show che biascica invece di rispondere e poi rivela che era tutta una finzione per il mocumentary dell’amico Casey Affleck o quello che scappa, alla Mostra di Venezia, all’incontro con i cronisti. Quello che fa chiedere di non fargli domande su Philip Seymour Hoffman, ancora scottato dalla spettacolarizzazione del dolore che i media Usa fecero all’epoca della morte, per overdose, del fratello River quando mandarono a loop nelle radio la sua richiesta d’aiuto, e quello che ride di gusto quando gli si chiede se veramente non ha mai accarezzato l’idea di lasciare la recitazione per la musica. Invece quando si siede e comincia a parlare hai veramente l’impressione che molto di ciò che lo anticipa sia frutto di una sorta di equivoco: “Sto cercando nella mia mente qualche cosa di divertente, ma anche di onesto, da dire. Potete anche inventare qualcosa e attribuirmelo… gli altri fanno così”.

Joaquin Phoenix protagonista assoluto nel film corale “Vizio di forma” di Paul Thomas Anderson in uscita il 26 febbraio. Con due candidature agli Oscar, il film è il primo adattamento da un romanzo di Thomas Pynchon. Nel cast oltre a Phoenix Benicio Del Toro, Owen Wilson, Reese Witherspoon e Josh Brolin

Joaquin Phoenix è a Roma insieme al regista Paul Thomas Anderson e alla produttrice storica del regista di Magnolia Joanne Seller per presentare Vizio di forma, il primo film tratto dall’autore americano Thomas Pynchon, uno che ha la fama di essere inavvicinabile e invisibile. “La cosa migliore è pensare che non esiste, potrebbe essere un bambino o una ragazza, potrebbero esistere molti Pynchon, in realtà quello che conta è l’opera – dice Paul Thomas Anderson che da anni rincorreva l’idea di portare sul grande schermo un suo romanzo – non mi fraintendete mi fa piacere essere qui con voi, però forse se avessi una seconda vita farei come lui, farei come Pynchon: scomparirei. E’ l’opera che deve parlare per noi”. E per Paul Thomas Anderson parlano sette film: il film d’esordio Sydney, l’incursione nel mondo del porno Boogie Nights, il capolavoro corale Magnolia, Ubriaco d’amore, Il petroliere che ha consegnato l’Oscar a Daniel Day Lewis e prima di questo The Master, presentato in concorso a Venezia che ha segnato l’inizio della collaborazione con Phoenix (che ha diviso la Coppa Volpi con Philip Seymour Hoffman): “Rispetto a The Master abbiamo lavorato in un altro modo – racconta Joaquin – per interpretare Freddie ho lavorato sull’isolamento, mentre per interpretare Doc ho abbracciato il film, ho fatto uno sforzo per appartenere al set e a tutti gli altri attori. E devo dire che abbiamo riso molto”. Il cast d’altronde del film è stellare: c’è l’avvocato di diritto marittimo Benicio Del Toro, il poliziotto tutto d’un pezzo Josh Brolin, il sassofonista infiltrato Owen Wilson, l’assistente del procuratore Reese Witherspoon.

Tutti personaggi, come sintetizzato dal bellissimo poster, scaturiti dalla mente di Doc Sportello, detective privato con la passione della spiaggia e della marijuana, la cui vita viene sconvolta dal ritorno di Shasta ex fidanzata ormai legata ad un miliardario imprenditore dell’immobiliare che sembrerebbe essere al centro di un complotto della moglie e del di lei amante per rinchiuderlo in un ospedale psichiatrico a vantaggio del suo patrimonio. “Quel periodo corrisponde alla perdita di innocenza per gli Stati Uniti, gli anni Settanta sono stati l’ultimo periodo in cui essere sentimentali veniva considerato ancora figo – spiega il regista – La violenza di Charles Manson e della sua banda hanno compromesso quell’innocenza per sempre”.

Il film infatti fa compiere allo spettatore un viaggio psichedelico, sotto effetto di droghe, suggestioni e sogni attraverso un’epoca con un effetto di grande malinconia. “Paul ha raccolto un sacco di fotografie nel suo ufficio dove abbiamo trascorso le giornate aspettando di girare il film – spiega Phoenix – Il suo ufficio è stato letteralmente invaso di libri, immagini, musica, tutte le pareti della stanza erano coperte di foto e in particolare scatti di Neil Young. E a partire da questo immaginario, quello alla Neil Young, abbiamo cercato di costruire il suo aspetto… è stato un buon punto di partenza. La musica poi è un elemento fondamentale del suo cinema. Per entrambi i film che ho fatto con lui, Paul mi ha dato dei cd e un ipod pieno di musica da ascoltare che per lui è stata fonte di ispirazione mentre scriveva. E devo dire che è veramente uno strumento potente per entrare dentro un’atmosfera o una sensazione. Paul è veramente in gamba a mettere insieme una gran quantità di canzoni”.

Di quel mondo anni Settanta Joaquin è stato indiretto testimone quando, bambino, con i genitori e i fratelli aveva vissuto in una comunità hippie. “C’è rimasto ben poco di quel mondo. Poche cose come centri di istruzione alternativa e una maggiore coscienza ambientale, ma non posso dire di avere rimpianti di quel periodo. C’era allora la speranza di un cambiamento, c’era ottimismo, ma poi tutto questo è stato demolito. Ma non chiedetemi i miei ricordi della comunità… avevo solo due anni! La malinconia è un elemento forte del libro che permea tutta l’atmosfera, voi la vedete nel mio personaggio ma in realtà viene da Pynchon. Io vorrei dirvi di essere un genio ma non mi assumo questa responsabilità. Un film si fa così: si gira una scena anche dodici volte, con minime variazioni e poi il regista sceglie quello che gli piace e lascia fuori quello che non va, il nostro lavoro è una combinazione di cose e la mia interpretazione alla fine è frutto della scelta di un regista”.

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