Daphne Di Cinto: “Con corto Il Moro racconto la storia di Alessandro De’ Medici”

Il premio, istituito dalla rivista, che da dieci anni trova e lancia i migliori talenti del cinema – tra i più celebri vincitori del premio, Gabriele Mainetti, Sydney Sibilia, Miriam Leone, Alessandro Borghi – è andato quest’anno a Daphne Di Cinto nella categoria miglior cortometraggio Italiano.

Ri-narrare la storia, il valore e il significato di diversità e inclusione anche dietro la telecamera. Daphne di Cinto, regista (e attrice, ricordiamo la sua partecipazione alla serie di successo Bridgerton) caparbia e consapevole del valore del suo racconto condivide con Vogue Italia il suo percorso, il lavoro di costruzione, direzione e produzione (ha raccolto con successo i fondi neccsari al corto attraverso un crowdfunding) fino al premio per il suo racconto di un momento cruciale della vita del primo aristocratico BIPOC, Alessandro de’ Medici, detto Il Moro. Con il sostegno di Amnesty International Italia, Black Lives Matter Roma, Black History Month Firenze, African Diaspora Cinema Festival, Accademia Italiana di Arte Moda e Design, Pace University New York, Daphne di Cinto ha raccolto per il cortometraggio nuovi talenti e attori affermati: Alberto Malanchino, Alessandro de’ Medici, Paolo Sassatelli nei panni di Clemente VII, Andrea Melis come Ippolito de Medici, Lorenzo Tronconi nel doppio ruolo del servo di Clemente VII e di autore della colonna sonora insieme alla cantante e performer Loretta Grace.

1529. Tre figli illegittimi ai vertici di casa Medici. Alessandro, figlio di una serva africana e di Clemente VII, si trova faccia a faccia con il suo essere “diverso”, quando gli viene affidato il comando di Firenze diventando così la prima persona BIPOC e il primo Afro-Italiano a capo di un governo occidentale.

L’importanza del cortometraggio di Daphne di Cinto sta nella credibilità della regista di origine afroitaliane che, attraverso la rinarrazione  storico-socio-culturale, mira a promuovere la parità sociale, l’inclusione e l’educazione alla diversità facendo luce su un capitolo importante della storia italiana. La consapevolezza di ri-narrare una storia e La Storia attraverso la vita di un uomo le cui origini rappresentavano un’onta e un peccato, la consapevolezza di come solo da poco questa cultura è cambiata.

È raggiante Daphne quando la chiamo in video per congratularmi. Ci siamo viste l’ultima volta a casa davanti a un tè, poco prima mi aveva ospitato sul set di Il Moro, in pieno inverno e in piena pandemia. Percepisco la stessa emozione dell’assistere all’ultimo ciak, di quando ho saputo del progetto, del condividere una storia, un’identità, un vissuto e molte progetti. Siamo due donne nere, una di fronte all’altra, impegnate nel cambiamento di un paese che amiamo: l’energia che si sprigiona è incredibilmente forte. Entrambe siamo consapevoli di far parte di un momento storico e Daphne ne è ormai protagonista di successo. Appassionata di storia, ci racconta come a scuola in Italia nessuno menzionasse le origini di Alessandro, nonostante ricordi benissimo di aver studiato e ristudiato pagine sulla famiglia Medici. Si chiede quante persone avrebbero una concezione diversa dell’immigrazione, dello ius soli e del razzismo, se fossero cresciute con questa versione della storia? Quanti bambini devono ancora crescere in Italia senza personaggi storici che fanno parte della loro cultura, in cui si possono rispecchiare?

Di Cinto ha iniziato a leggere e a fare ricerche, finché poi ha sentito di dover mettere la storia in video. Così è arrivata a sviluppare il cortometraggio Il Moro. Sottolinea l’intenzione che serva sia come uno strumento a sé per portare conoscenza generale tramite il circuito dei festival cinematografici, sia di ispirazione e di integrazione all’educazione dei bambini nelle scuole di tutta Italia – e magari anche fuori dai confini italiani, per dare voce e mettere in rilievo una conversazione sull’identità che tocca ogni nuova generazione, a partire da quelle italiane con background migratorio, ma anche quelle senza esperienze dirette di migrazione.  

Mentre le ragioni che l’hanno spinta “a partire dal paesello” a diciannove anni bruciano ancora e sono ancora tristemente presenti, vede ora una bellissima comunità in crescita, piena di talenti che hanno qualcosa da dire. In questo progetto ha fatto in modo che sia davanti che dietro alla camera ci fosse una completa rappresentazione del nuovo viso dell’Italia, dove italiano non è più sinonimo di bianco.

“L’Italia oggi si sta muovendo ad un ritmo più veloce di quello della consapevolezza delle persone che la abitano. L’Italia di oggi è già multiculturale, ma non lo vuole accettare, ammettere e nega la ricchezza che le generazioni con background migratorio possono portare a questo Paese, al loro Paese. C’è tanta paura, che se venisse trasformata in curiosità e in apertura mentale, diventerebbe un’arma vincente. Io oggi mi sento legata più che mai all’Italia, la amo infinitamente, ma il mio Paese ancora non ama me, noi, come dovrebbe. I miei modelli di riferimento maggiori vengono dall’estero: Ava du Vernay, Shonda Rhimes. Oggi come donna italiana nera mi sento in una posizione di privilegio, sì, perché finalmente si è creato uno spazio di espressione che prima non esisteva, ma allo stesso modo sono consapevole che sia uno spazio ancora troppo piccolo e forse di circostanza e che la presenza della nostra voce ha bisogno di venire normalizzata”.

Vogue.it

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