“The story of God” con Morgan Freeman è un modesto intrattenimento, che non contempla la teologia

Morgan Freeman in un momento di preparazione della serie

(Tiziano Rapanà) Su Netflix e TimVision è presente da qualche giorno la serie tv documentaristica The story of God, condotta dall’icona del cinema statunitense Morgan Freeman. È una serie in sei puntate che racconta il mistero di Dio e della morte e dell’esistenza del male et cetera. È un prodotto realizzato da National Geographic Channel, rete specializzata nella realizzazione di prodotti di divulgazione storica e scientifica. Sostanzialmente non mi è dispiaciuto, ma come posso prendere totalmente sul serio un prodotto che vede come preminente lo spettacolo anziché la teologia? Le puntate son carine, dopotutto si guardicchiano grazie all’impareggiabile carisma del grande vecchio di Hollywood. Ma, in tutto questo seducente ambaradan d’inquadrature, Dio dov’è? Non c’è. E non c’è nemmeno il senso interreligioso del sacro. C’è solo della storia, un po’ di scienza e tanto tantissimo spettacolo che porta all’intrattenimento, ma non all’essenza di Dio. Alla fine è un prodotto perfetto per gli amanti di trasmissioni come Mistero, ma non è certo consigliabile ai lettori di Adriano Fabris (è un saggista, autore dell’importante libro Filosofia delle religioni edito da Carocci), il quale a mio avviso sarebbe stato molto più adatto a concepire e presentare la storia di Dio in tv. Comunque, per adesso, bisogna accontentarsi di Freeman, anche se non è mai troppo tardi per sperare di vedere in futuro in tv un programma su Dio di Fabris, magari su Rai5, permeato di ospiti autorevoli (suggerisco la presenza del filosofo Giovanni Scarafile) e di tematiche importanti, (suggerisco anche uno dei possibili temi su cui dibattere. Rendiconto il primo che mi viene in mente, ossia le trasgressioni filosofiche su Dio di Socrate, di Merleau-Ponty, di Lévinas e più in generale dei grandi pensatori del passato).

P. S. Scrivete, qualora lo desideriate, a tizianodecoder2@gmail.com

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