DA ‘I MEDICI’ A ‘I BORGIA’, IL FASCINO DEL RINASCIMENTO ITALIANO SBANCA IN TV

I grandi numeri ottenuti dalla fiction con Dustin Hoffman confermano l’interesse dei colossi internazionali per la storia del nostro Paese. E alle accuse di approssimazione storiografica i produttori rispondono: “Una serie tv non è un documentario”

miriam-leone-i-mediciHistoria magistra vitae. Chissà cosa penserebbe un Cicerone dei nostri tempi assistendo alla proliferazione di serie televisive dedicate ai grandi della nostra Storia. D’altronde, da quasi dieci anni, le grandi produzioni internazionali osservano l’Italia attraverso le vestigia del passato, ricercando in esse narrazioni capaci di conquistare il più vasto pubblico possibile. Basti pensare al successo clamoroso (29,9% di share la prima puntata, 25,7% la seconda: la puntata del 25 ottobre è stata seguita da 6.511.000 spettatori) de I Medici su Rai1 o le due recenti versioni de I Borgia, andate in onda con risultati altalenanti su Sky e La7 con produzioni che hanno superato abbondantemente le decine di milioni di dollari.
Il Rinascimento italiano, con famiglie interessate unicamente al potere e alla propria affermazione, piace non poco all’estero. É teatro di scontri e contraddizioni, mostra una bellezza disarmante che deve confrontarsi necessariamente con il cinismo e la sopraffazione, diventa lo specchio contemporaneo dei più ambiziosi personalismi. Ovviamente, per ragioni puramente narrative, la verità storiografica spesso e volentieri viene sacrificata sull’altare prima della finzione e poi dello share. Ne sanno qualcosa lo storico Franco Cardini e il produttore Luca Bernabei che, sulle pagine di La Repubblica, hanno avuto divergenze, legittimissime visti i prestigiosi curricula di entrambi, su quanto sia giusto e necessario attenersi alle reali dinamiche di certi periodi storici. “Una serie televisiva non è un documentario. Il racconto deve far per forza i conti con l’apporto creativo degli autori”, ha dichiarato il numero uno di Lux Vide, casa di produzione de I Medici. “Avete fatto la scelta della non-storia perché avete capito benissimo che la società italiana ritiene oggi di poterne fare a meno, di trascurarla”, ha controbattuto il medievista fiorentino. Si potrebbe chiudere la diatriba leggendo quanto detto dal regista della serie, Sergio Mimica-Gezzan. “La nostra storia di Cosimo non è una biografia storica. È un racconto di finzione basato su aspetti noti della sua esistenza”, ha annunciato in fase di presentazione con toni concilianti.
Polemiche a parte, rimane incontrovertibile una tendenza. Quando c’è da investire su storie ambientate in Italia, all’estero preferiscono guardare al nostro passato anziché al nostro presente. Negli ultimi anni, con tutti gli stereotipi e i cliché del caso, sono stati presi i grandi protagonisti della nostra Storia e catapultati in racconti che spesso perdono il contatto con la realtà. Si pensi a Da Vinci’s Demons, portata in Italia da Fox, che mostra un giovane Leonardo Da Vinci invischiato in situazioni tanto assurde quanto paradossali, o a Marco Polo, sontuosa produzione targata Netflix che ha investito ben 90 milioni di dollari per la prima stagione. In questa occasione si pone l’attenzione sulla rocambolesca permanenza del viaggiatore veneziano alla corte di Kublai Khan alla fine del XIII secolo. Altro periodo storico particolarmente battuto dai produttori stranieri è quello antico romano. Il 2005 fu l’anno di Roma, ambizioso progetto nato dalla sinergia tra Rai, HBO e BBC con un investimento che si è aggirato intorno ai 100 milioni di dollari, numeri record per l’epoca. La serie ha raccontato in che modo e in che termini le guerre civili hanno trasformato l’assetto politico dell’Impero romano nella seconda metà del I secolo a.C. Lo stesso si può dire per Spartacus, serie tv che ha dato una nuova definizione di nudo e crudo tra il 2010 e il 2013. In questo caso è inutile elencare anacronismi e incongruenze storiche. I gladiatori guidati da Spartaco sono un furbo pretesto per assecondare le inevitabili richieste di sesso e sangue.
Al netto di questa rapida panoramica, fuori dai confini nazionali sembra interessare ben poco quanto ha da offrire il nostro paese oggi. Non è un caso che The Young Pope, l’attesissima serie firmata del premio Oscar Paolo Sorrentino per Sky Atlantic con co-produzione anglo-americana e francese, rivolga il suo sguardo al Vaticano, non all’Italia, con protagonista un Papa affascinante e sfuggente come una rockstar. La centralità italiana è minima nel dibattito televisivo mondiale, come si può notare anche dai grandi titoli che esportiamo all’estero. Da Il commissario Montalbano a Gomorra, queste opere hanno una connotazione regionale fortissima e non raggiungono il grande pubblico internazionale, rimanendo di nicchia ma non per questo meno apprezzate dalla critica o dagli addetti ai lavori.

Repubblica

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