Daniel Craig e l’amore/odio per James Bond: “Gli devo tutto”

«Non potrei essere amico di 007, non voglio passare del tempo con un killer. Ma non giudico i personaggi che interpreto, trovo un modo di farmeli piacere», dice Daniel Craig via zoom. Cinque anni dopo Spectre, lasciato in armadio lo smoking, in No Time To Die ritroviamo 007 pensionato in Giamaica che pesca, prende il sole…Ma così, senza azione, è un pesce fuor d’acqua e un suo vecchio amico della CIA lo trascina dentro i soliti «casini». E chiede aiuto a Daniel Craig, alla sua quinta e ultima performance. Ci mette poco a rimontare a bordo della gloriosa Aston Villa DB5, negli stretti tornanti di Matera dov’era felice e innamorato tra le braccia di Madeleine, la psicologa impersonata da Léa Seydoux. «Girare in quelle viuzze – racconta Craig – è stato fantastico, siamo stati attenti a non fare danni, spero di aver lasciato buoni ricordi».

Ma l’amore e l’avventura possono convivere? «Il personaggio di Madeleine – racconta Léa – qui è molto più sviluppato, si capisce da dove viene, la sua infanzia complicata, suo padre era un assassino e lei ne ha sofferto, e poi non si fida della gente, come James Bond, loro due hanno diverse cose in comune». Potrebbe essere amica di 007? «E’ intrigante. E Daniel lo ha reso più accessibile, lo ha umanizzato». Qualche anno fa ci disse che non pensava di diventare una Bond Girl: «Sì, faccio questo mestiere da 16 anni e ho più familiarità col cinema d’autore mentre 007 è puro intrattenimento. E’ difficile fare un cliché, anche se già Ursula Andress non era una bambola, però le donne all’inizio della saga erano creature che dovevano soddisfare gli uomini. Invece oggi, col Me Too, c’è bisogno di ruoli forti con cui le ragazze possano identificarsi. La Bond Girl si è evoluta e in questo film ha un ruolo centrale. La mia preferita è Eva Green, perché era una villain, perché tradisce James Bond anche se c’è una relazione tra loro, è un paradosso, ma a me non piacciono i ruoli bianchi o neri».

Ma lei continuerà? «Chi lo sa, può darsi…». Ed ecco (almeno così si vocifera, perché per evitare di spoilerare il film se ne parla senza vederlo) un inseguimento spettacolare, una corsa sfrenata per salvare il mondo intero da un’arma nucleare distruttiva. Al capo dei servizi segreti, M, (Ralph Fiennes), è sfuggito di mano un programma che era concepito a fin di bene. Rinviato tante volte per la pandemia, esce per Universal il 30 settembre in 750 copie il venticinquesimo della serie: No Time To Die. L’anteprima si terrà il 28 a Londra, alla Royal Albert Hall: sarà come d’abitudine un Royal affair con la famiglia di Queen Elizabeth. Che interpretò se stessa, nel video delle Olimpiadi diretto da Danny Boyle, quando Bond arrivava a Buckingham Palace: «Fu un momento surreale – ricorda Craig – la regina era felice, dolce e molto professionale. Di cosa abbiamo parlato? Di cani». Nelle prime immagini del nuovo capitolo il menù è quello noto: esplosioni, baie spettacolari, piante tropicali, affondamenti di navi. Barbara Broccoli, storica produttrice, spiega che i temi sono «fiducia e tradimento». Missione possibile: liberare uno scienziato dai suoi sequestratori, sulle tracce di un misterioso criminale armato di una nuova e pericolosa tecnologia.

Dice il nuovo regista, Cary Joji Fukunaga: «C’è un nemico nuovo, più pericoloso furbo e potente della Spectre>. Fukunaga a Hollywood Reporter ha detto che, al tempo di Sean Connery, 007 era uno stupratore. Daniel, cosa ne pensa: «Well, bisogna contestualizzare l’opinione di Cary, quello che era accettabile negli Anni ’60 non lo è oggi. I tempi sono cambiati». Daniel Craig fu scelto tra una rosa di centinaia di candidati, inclusi Clive Owen, Hugh Jackman e Coline Farrell. I media all’inizio furono delusi, lo definirono James Blando. Lo attaccarono prima di vederlo. Il primo James Bond biondo, dissero, dimenticandosi di Roger Moore. Il naso da pugile, il fisico palestrato. Manca lo charme e il carisma di 007, dissero. E addirittura, per una scena spettacolare con una gru: soffre di vertigini. Fino allora non era visto come un protagonista: era solo un bravo attore. «Avevo avuto molto di più di quello che mi sarei aspettato, non ero considerato cool, un figo. Avevo girato film strani e d’autore, non suadenti. Non volevo farlo 007, non pensavo fosse nelle mie corde». Un tipo scontroso. Sembrò un ingaggio controcorrente. Ma Barbara Broccoli ha sempre creduto in lui, «è come se fuoriuscisse in lui una luce interiore».

«Quando ho accettato mi sono detto rimbocchiamoci le maniche. Volevo che Bond sembrasse un assassino, come esce dai libri di Fleming. Allo stesso tempo ho dato voce al suo mondo interiore, cosa che non si era fatta mai. L’abbiamo reso più reale e intenso sul piano emotivo e drammatico». Ha dato un taglio moderno e introspettivo: «Se il successo è stata una rivincita sugli scettici? Non ragiono in questi termini. 007 suscita sempre grandi passioni, non avevo modo di far cambiare idea, non c’era nulla che potevo fare se non dare il meglio di me». Rispetto alle sue origini umili, ne ha fatta di strada…Sorride: «Sì, ma la mia famiglia non era così povera, non c’erano tanti soldi, questo è vero. Sono grato per quello che ho avuto dalla vita». Ma cosa le ha lasciato 007 dopo quindici anni? «Direi cosa mi ha lasciato questa esperienza. E’ stata una creazione collettiva con gente fantastica». Tutti ricordano i dialoghi a effetto per smorzare la tensione. La svolta fu in una battuta contro un cliché e uno stereotipo. Quando il barman gli chiede: «Il Martini lo vuole agitato o mescolato?». E lui: «Fai come ti pare, cosa vuoi che mi interessi».

Ha passato quindici anni con 007. Si ripercorrono nel documentario Essere James Bond. La prima volta, Casino Royale, 2006: «La gente si aspettava un disastro, invece esultò». Seguì Quantum of Solace: «Abbiamo sofferto la sindrome del secondo film, c’era lo sciopero degli sceneggiatori, fu girato senza copione. La storia era un po’ confusa. Ne uscì un bel film. La fama mi sconvolse, c’era chi si arrampicava sugli alberi davanti a casa mia. Chiusi le tende. Non sapevo come gestire la cosa». Skyfall: Muore il capo di M16, Judi Dench, era l’ennesimo nuovo inizio. Adele, le Olimpiadi, Buckingham Palace. Con Javier Bardem con le mèche bionde che gli guarda ammirato i pettorali, 007 fa un’allusione gay: «Chi ti fa credere che sia la mia prima volta?». Spectre: «Sul set mi ruppi una gamba. Non ho evitato le scene d’azione, fingevo tranquillità, dovevo scavalcare finestre, saltare da un cornicione, ero legato a un cavo, ma fisicamente ero condizionato. Ero davvero convinto che fosse finita. Quando mi chiesero se avrei rifatto un altro Bond risposi, preferirei rompere questo bicchiere e tagliarmi le vene. Ma siamo onesti, posso essere indifferente quanto voglio ma è dura lasciare questo ruolo. E’ stata una grande fortuna. Mi ha regalato più di quanto potevo sognare».

Valerio Cappelli, corriere.it

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