UNA VITA DEDICATA ALLA CHITARRA CON IL FLAMENCO NEL CUORE

Omegna, Angela Centola si divide tra insegnamento e concerti

Quando parla delle sue chitarre gli occhi s’illuminano. Così come quando racconta dell’esperienza a scuola, dove spiega ai ragazzi come apprezzare la musica. Angela Centola della chitarra s’è innamorata da giovane, quando divorava i racconti del fratello, che prendeva lezioni. Famiglia della Basilicata, papà carabiniere e mamma dedita ai figli, è nata a Napoli per caso, dove il padre era stato trasferito. «Una parte di me è del Sud, anche nella musica» svela, nonostante dai 4 ai 24 anni – causa un altro trasferimento del papà -, sia vissuta in Valsesia. Poi l’arrivo a Omegna, dove ha avuto la cattedra per insegnare musica nelle scuole medie prima di passare al liceo Gobetti.
La carriera didattica, che garantisce il pane quotidiano, è affiancata da una ricca attività concertistica. Centola è classica e moderna, ma soprattutto è «flamenca». È la prima donna italiana con una così forte specializzazione nel flamenco. Dialogando si scopre quanto la chitarra sia poco conosciuta: «Tutti l’hanno sfiorata almeno una volta, pochissimi ne conoscono caratteristiche e qualità».
Dire chitarra, è riduttivo. Ne esistono di tutti i tipi e non se ne può suonare una sola: «Una diventa la principale – spiega -, poi ci si deve adeguare alle richieste». Il «su misura» riguarda le dimensioni del manico, mentre la tavola armonica varia dagli obiettivi: il cedro, ad esempio, è più adatto al repertorio del ’900, con l’abete si passa al secolo precedente. E poi ci sono quelle in acero, cipresso o palissandro.
Ma si può vivere di sola chitarra classica? «Senza insegnamento è dura, in Italia ce la fanno forse tre o quattro musicisti». Titoli accademici Centola ne ha tanti, così come ha accumulato premi non solo in Italia: il nuovo obiettivo è portare il flamenco in un Conservatorio.
Obiettivi sì, sogni no: «Non vorrei sembrare retorica, ma il sogno lo realizzo tutti i giorni: suonando». L’emozione «fortissima» è stata esibirsi in Vaticano, mentre la richiesta più strana è il concerto privato per una persona sola, in casa. Uno spasimante? «No, un anziano innamorato della mia musica». Pensando ai musicisti, si idealizzano fama e denaro. Invece? «I soldi sono importanti, ma solo quelli necessari per vivere. La cosa più bella è avere, nei momento di solitudine e di tristezza, uno strumento da suonare». E questo non è per tutti.

La Stampa

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