E il trombettiere del generale Custer, trasteverino, unico sopravvissuto alla battagli di Little Big Horn. Il I segreti dei film mai realizzati emergono del Fondo dedicato all’attore
Tra Don Chisciotte e il West
All’altezza del mito dell’eroe di Cervantes, la ricostruzione delle peripezie legate al Don Chisciotte e Sancho Panza con la regia di Mario Monicelli, sceneggiatore con Leo Benvenuti e Piero De Bernardi, e Vittorio Gassman nel ruolo del cavaliere errante. L’idea venne a Sordi stesso, nel 1982, rivedendo La grande guerra, dopo il successo de Il Marchese del Grillo. «Mi è parsa la prova generale del Don Chisciotte: il millantatore a confronto con il vigliacco, l’illusoria grandezza della follia che si misura con modesto realismo quotidiano». A produrre, i De Laurentiis che pubblicano una locandina sul Giornale dello spettacolo con l’indicazione dell’uscita: Natale 1984. Ma tutto si blocca, in linea con le difficoltà di ogni Don Chisciotte cinematografico. O, suggeriscono i materiali del Fondo, la marcia indietro fu dell’attore. Non sarebbe stato un incontro alla pari tra i due antieroi della Mancha. Comprimario, non co-protagonista. Era stata la prudenza, invece, a bloccare il progetto più ardito e scivoloso. «Mussolini come lo vedo io non sarebbe polemico e tanto meno nostalgico, o magari un po’ nostalgico sì perché allora eravamo ragazzi. Ma soprattutto sarebbe umano. Un poveraccio, come in fondo siamo tutti», raccontò Sordi nel 1967 a Carlo Laurenzi per il Corriere della Sera. L’intenzione era raccontare gli anni tra il 1941 e ‘43, «quando le cose iniziarono a andare male». L’articolo fa scalpore, arrivarono minacce, «persino dall’America del Sud». «Guai se fai un film sul Duce». A lui restò il rimpianto. «E la convinzione che avrebbe avuto successo». Andrà più vicino a prestare il volto a un altro personaggio storico, Kissinger. Le foto conservate nel Fondo testimoniano una somiglianza sorprendente. «Sono destinato. Con quegli occhiali, i capelli tinti in rossiccio, se lascio appena andare il mento, sono identico. Due gocce d’acqua. E cos’è K. se non un’antica proiezione del mio personaggio? Io ho sempre, rappresentato uomini, omoni o omini, schiavi e vittime del potere, gente triturata da una logica che li deforma, li schiaccia…». L’idea era di sdoppiarlo, quello vero e un italiano, un romano, steward dell’Alitalia. Salta tutto. E resta il mistero: Sordi conobbe Mr. Kiss (così lo chiamava)? Lui sostiene di sì, ma forse i racconti sono romanzati. E più fantasiosa di ogni romanzo è la vita del più curioso dei ruoli mancati: Giovanni Martini, trasteverino, già con i Mille di Garibaldi, e poi in America come John Martin, trombettiere del 7° Cavalleggeri del generale Custer, unico sopravvissuto a Little Big Horn. Un invito a nozze per Sordi. Peccato davvero che Un romano nel West non veda la luce: si perderà nella prima metà degli anni Sessanta tra minacce di cause legali con la produzione, poi risolte. «La battaglia di Little Big Horn è finita. Dino De Laurentiis e Alberto Sordi hanno fumato il calumet della pace».
Stefania Ulivi, corriere.it