VITTORIA PUCCINI: “LE MAMME RITORNANO SEMPRE”

È quello che ha detto a sua figlia, treat quando l’abbiamo portata a Parigi a fare queste foto. È quello che ha pensato quando è tornata a sognare sua madre, help perduta quattro anni fa per un tumore. Un dolore «a cui non ci si abitua mai». Che, cheap oggi, l’ha portata a fare un test per vincere la paura. Grazie (anche) ad Angelina Jolie

vittoria puccini Cosa vuol dire una madre che muore lo sai solo quando capita a te. Vittoria Puccini appartiene a quelli che lo sanno e che da quel momento tentano, rotti, di ripararsi, ma mai faranno del tutto pace col vuoto lasciato da chi li ha messi al mondo. «Non ti ci puoi abituare», stringe le spalle seduta al tavolo della sua cucina. È una mattina d’inverno romana, il sole entra di taglio dalle finestre, con il rumore di lavori in corso giù in strada. Sono quasi quattro anni e mezzo che Vittoria cammina «senza». Dal 2 settembre 2011, quando, ancora vestita in lungo da madrina, ha dovuto scappare da Venezia in pieno festival, e raggiungere Firenze in tutta fretta, perché un tumore non solo arriva e non avvisa, ma neanche scherza. Aveva 59 anni sua madre Laura. E un cancro al seno, con buone probabilità di essere familiare. «Già allora una dottoressa amica me lo disse: fai le analisi, perché hai altri casi nell’asse ereditario, ed è aggressivo. Ma io avevo altro di cui preoccuparmi: andare avanti». Fu Graziella Bonacchi, la sua agente, a scuoterla. «Quando mi prese non ero nessuno: appena trasferita a Roma, cercavo consigli e una direzione. Un amico mi mandò da lei: “È tosta, ma è la migliore”. Mi aspettavo due dritte, e invece mi guarda: “Io ti prendo”. Da lì, è stata una seconda mamma, l’unica davvero capace di rimettermi in piedi quando persi la mia. Ero nel buio più nero. Mi disse: “Non puoi fermare anche la tua vita, Vittoria. Lei non lo vorrebbe. E non c’è peggior dispetto che puoi farle: già ti amava e se n’è andata. Rialzati, subito. Glielo devi”». La frase rimane in testa a Vittoria. Anche quando legge, il 14 maggio 2013, «il racconto pulito e generoso » con cui Angelina Jolie ripercorre sul New York Times la duplice mastectomia subita, forse l’intervento più intimo per una donna. Quella lettera la colpisce. «Dove i più si erano sempre arrampicati in perifrasi come “male oscuro”, “malattia incurabile”, lei trovava il coraggio di chiamarlo per nome, uno solo, il suo: “cancro”. E parlandone pubblicamente, consegnandolo all’umanità, lo rendeva già più chiaro e curabile. Si era fatta asportare i seni per prevenire il rischio di sviluppare quel cancro che era stato fatale per sua mamma (morta a 56 anni, ndr), sua nonna e sua zia. Lei le analisi le aveva fatte, scoprendo di avere la mutazione del gene Brca1 e Brca2, che per gli oncologi significa portare in corpo una predisposizione forte di ammalarsi al seno e alle ovaie». Nel 2015, a marzo, Angelina toglierà pure quelle. Da lì a sei mesi, proprio quattro anni dopo il settembre in cui è morta la madre, Vittoria per il cancro perderà anche, e a 51 anni, la sua «seconda mamma » Graziella. Sono i giorni in cui nei congressi gli specialisti stringono le trame della maglia: «Sempre più under 50 vengono colpite da carcinoma». Così, si convince a sottoporsi al test. «La scienza ci dà la prevenzione: prenderlo in tempo è l’arma che abbiamo. Una sera ne parlo con il mio compagno (il direttore della fotografia Fabrizio Lucci, ndr): dovrei fare degli esami, forse, ma mi spaventano. “Falli, perché vinci comunque: se sono negativi, tirando un sospiro di sollievo, ma anche se sono positivi, perché sapresti, e solo sapendo ci si salva”». A chiederle di forzare la memoria al primo ricordo, chiude gli occhi e va a quando «mia madre mi chiamava dalla cucina che ero ancora in giardino, il pranzo era pronto, e mi raggiungeva fuori il profumo». Tre anni fa, quando l’avevo intervistata, mi aveva descritto un’altra immagine felice della sua infanzia: lei bambina con in braccio un coniglio di pezza, che poi da grande avrebbe passato alla figlia. «Quando sono partita per scattare a Parigi le foto di questo servizio, Elena mi ha guardata e, con forse il timore rimasto dagli attentati, mi ha detto: “Mi raccomando mamma, stai attenta”. Le mamme ritornano sempre, ho pensato. Era tanto, per esempio, che non mi capitava di sognare la mia. E invece l’altra notte è successo. Era qui, sorridente, l’aspetto di quando stava bene». D’improvviso si fa piccola, stavolta nella sua, di cucina, e in quella casa nuova a Roma che la madre non ha fatto in tempo a vedere. «Prendeva la scala che porta su in soffitta. “Ma è un posto meraviglioso”, esclamava guardando gli addobbi di Natale e le altre mie cose riposte lì. Come volesse continuare a insegnarmi: la felicità non sta nel lusso, ma in un luogo semplice, segreto, caldo, nel caos di tutto ciò che accumuli e ti rappresenta». Le mamme ritornano sempre.

Vanity Fair

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