Tom Hanks: “Ormai sono un nonno, e penso al futuro dei ragazzi”

Semplicemente dicendo “C’era una volta…” potrei raccontare Un amico straordinario, il film sull’amato e popolarissimo Mr. Rogers, che creò negli anni Sessanta un programma per bambini e ragazzi, simbolo di una tv gentile per tutti gli americani», spiega sorridendo Tom Hanks. «C’era una volta una tv che raccontava senza risse i rapporti tra gli uomini, c’era un presentatore che amava regalare immaginazione e poesia e c’era un uomo che credeva nella possibilità di trasmettere al pubblico un senso etico della vita». Il film diretto da Mariele Heller (presto in Italia) è appena uscito sugli schermi americani dopo il successo ottenuto al Festival di Toronto: 10 minuti di applausi per Hanks.

Non ha mai avuto timore che la platea potesse rivelarsi scettica su un personaggio così lontano dall’aggressività televisiva di oggi?

«Sì, in effetti viviamo tempi molto diversi, la tv cerca la provocazione. Fred Rogers era un uomo “alla melassa”. Non un santo, ma sapeva ascoltare gli altri e comunicare serenità giocando con i suoi pupazzi, creando mondi e storie. Affrontava anche per i più giovani temi seri come il dolore del divorzio, la disgregazione delle famiglie, il baratro delle dipendenze. Oggi tutto si consuma rapidamente, si usa la tastiera di centinaia di canali televisivi o di piattaforme che offrono tutto. Difficile fermarsi su un programma e approfondire il rapporto con un conduttore».

Come si è preparato a diventare un volto e una presenza che dagli schermi televisivi per anni ha tenuto compagnia a genitori e figli?

«Indossando il suo cardigan rosso e inconfondibile… ho cercato di capire l’uomo e soprattutto il suo rapporto con il giornalista cinico che di malavoglia e con diffidenza deve incontrarlo per scrivere un profilo per Esquire. I due diventano amici, lo restano sino alla morte di Fred nel 2003. Il film analizza seriamente anche il mestiere del giornalista, la ricerca di qualcosa di segreto (che non c’era) nella personalità del conduttore. La chiave vincente del film è proprio nel rapporto che s’instaura tra l’intervistato e l’intervistatore sullo sfondo dell’America, di migliaia e migliaia di televisori accesi nei piccoli centri rurali».

Un mondo scomparso?

«Oggi è arduo trovare tutto ciò, tra gli adulti ma soprattutto tra i ragazzi che sembrano non avere mai tempo per costruire un vero rapporto con chi in tv lavora per loro».

Lei ha vinto 2 Oscar, a gennaio le sarà assegnato il premio alla carriera dei Golden Globe e potrebbe ritrovarsi tra i candidati. Che cosa chiede ancora al cinema?

«Ho superato i sessant’anni, negli ultimi tempi mi sono allontanato dal cinema per essere vicino a mia moglie Rita che ha sconfitto il cancro grazie a interventi delicatissimi. Ma amo recitare, offrire il mio volto a nuovi personaggi. Mi piace che tanti giovani mi scrivano perché mi riscoprono ragazzo nelle mie commedie di successo come Splash/Una sirena a Manhattan, in Big o in C’è posta per te».

Quali ruoli predilige tra i tanti della sua carriera?

«L’indimenticabile Forrest Gump, il naufrago di Cast Away, l’ufficiale che nascondeva le lacrime per i suoi uomini morti in battaglia in Salvate il soldato Ryan, il giovane gay discriminato di Philadelphia».

Non è, dunque, pessimista sulla vitalità del cinema?

«No: la sala sopravviverà a ogni trasformazione del modo di usufruire un film. La varietà delle offerte, che nasce anche dalle nuove piattaforme, riavvicinerà il pubblico al cinema: non solo ai blockbuster, ma a tante storie capaci di generare curiosità e dibattiti. Sono diventato nonno, tenere in braccio un nipotino significa anche interrogarmi su quanto e cosa potrò dargli come produttore di programmi tv o di film».

Ha pubblicato un libro di racconti, la sua amicizia con l’ex Presidente Obama vi vede impegnati in programmi di educazione per i giovani meno abbienti… Se potesse ricominciare la sua vita che cosa vorrebbe diventare?

«Vorrei fare lo scrittore: inventare storie, mondi, viaggi, incontri. Ma forse non mi piace la solitudine dello scrivere… Preferisco essere un attore».

Giovanna Grassi, Corriere.it

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