In morte del rock: la rivoluzione è finita

Schiavo degli stereotipi, ostaggio dei grandi vecchi, assediato dal rap. Perché il genere che cantò la libertà non racconta più il nostro presente? E voi cosa ne pensate?

C’era una volta il rock. Cominciò col bacino roteante di Elvis a infiammare i sovversivi ormoni dei ragazzi nati nel dopoguerra, esplose col luminoso verbo beatlesiano, prese forza e consapevolezza con le parole incendiarie di Bob Dylan, con le visioni dei Pink Floyd e di Frank Zappa, celebrò riti estremi con Jimi Hendrix, Rolling Stones, Doors, continuando per almeno un altro paio di decenni a raccontare le trasformazioni del mondo. Ma oggi, cosa è diventata questa irripetibile favola della cultura contemporanea? Il nulla, un enorme e fragoroso vuoto. Il rock è morto, amici e compagni, assente, latitante, travolto da ondate di pop e hip hop, schiacciato sulle proprie antiche responsabilità e incapace di reagire al nuovo. Eppure molti fanno fatica a prenderne atto. Fate la prova: ditelo ad alta voce e vi troverete ancora oggi in pochi secondi circondati da gente con la t-shirt dei Metallica che vi insulta.A scrivere un possibile epitaffio ci ha pensato il solito incorreggibile Kanye West che per i Grammy del prossimo anno ha proposto un suo pezzo, Freeee (Ghost town Part 2), nelle categorie miglior canzone rock e miglior performance rock. Come dire: il rock oggi sono io, fatevene una ragione, e del resto se andiamo a vedere l’edizione passata i fatti sembrano dargli ragione: i protagonisti sono stati Jay-Z, Kendrick Lamar, Bruno Mars. Il rock, relegato nelle sue categorie, si è aggrappato ai mastodonti tipo i Mastodon, appunto, Foo Fighters e Queens of the stone age, le regine dell’età della pietra, nome che oggi suona piuttosto beffardo, e la miglior performance l’ha vinta Leonard Cohen col suo ultimo pezzo pubblicato in vita, You want it darker. Sembrano metafore della fine. Per trovare cose che avessero un sapore contemporaneo bisognava andare nella categoria Best Alternative music album, per la quale infatti non si usa neanche più il termine rock. La verità è che ai Grammy ormai il rock sembra piuttosto il nonno che alle feste comandate non si può non invitare, ma dal quale certo non ci si aspetta il glam dei tempi migliori. “Il rock è morto, o è solo vecchio?”, titola infatti Bill Flanagan sul New York Times, ed è un altro modo di vedere la questione: magari è solo fuori moda, ripetitivo, legato a stereotipi logori ma di sicuro non è più musica per ragazzini. Le nuove generazioni guardano altrove, anche perché a cercarlo bene di rock buono ne circola, ma gira nei bassifondi delle minoranze, è troppo discreto o troppo estremo per superare la soglia di massa.Basta dare un’occhiata alle classifiche. In questo momento quella inglese degli album più venduti è stupefacente. Tra i primi dieci posti ci sono Andrea Bocelli e il duo Aled Jones e Russell Watson, anche loro di impostazione tenorile, ben due colonne sonore, ovvero quelle di The greatest showman e A star is born, e al colmo del paradosso il White album dei Beatles, ovvero un disco di incomparabile bellezza ma che è stato pubblicato 50 anni fa, e lo stesso vale per la Platinum collection dei Queen, tornata in classifica grazie alla spinta del film Bohemian Rhapsody. Uniche presenze vagamente contemporanee e in odore di rock sono i Muse al primo posto e gli Imagine Dragons al nono. In America la situazione non è molto diversa. Ai primi posti ci sono Beatles e Queen, la colonna sonora di A star is born, ma in cima trionfa l’eroe country Kane Brown, al terzo posto Trippie Redd seguito da Lil Peep e da una lunga schiera di rapper e trapper.Ma ovviamente non è solo una questione numerica, casomai di forza, di presenza, di attaccamento al presente. Riesce il rock a raccontare quello che siamo, quello che vorremmo essere, riesce a mettere in scena ansie, conflitti e desideri del nostro tempo? In giro ci sono ancora i vecchi soloni. Dylan fa ancora concerti, Springsteen continua a sembrare in missione per conto di cause superiori. A dire il vero il rock è già morto tante altre volte, è morto il giorno in cui Elvis partì per il servizio di leva, è morto il giorno in cui precipitò l’aereo con a bordo Buddy Holly, è morto quando è arrivato il punk, ma per ogni assassinio c’era un nuovo re pronto a ripartire. Ora di giovani in grado di assumersi quel ruolo non se ne vedono, oppure sono come i Greta Van Fleet, copia conforme dei Led Zeppelin o, in Italia, i Måneskin che infiammano i ragazzi ma usano un linguaggio in fin dei conti classico. Forse a uccidere il rock è proprio il peso dello stereotipo. Se diciamo rock oggi pensiamo a un cliché: quattro accordi sparati, chitarre elettriche, batteria in quattro con cassa e rullante in evidenza, un cantante che strilla. Ma il rock non è nato per essere questo. Era la musica più varia e fantasiosa mai apparsa sul pianeta. E per questo forse è morto. In realtà si è reincarnato e oggi vive in tutte le altre musiche. Basta non chiamarlo rock.

Gino Castaldo, repubblica.it

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