Andrea Pinketts, il duro da bar: “Sono un reduce della tv trash”

Intervista allo scrittore che diventò popolarissimo nell’era della Milano da bere “Se gli ’80 erano di plastica, ora c’è il vuoto: ci restano solo orrore e ironia”

Se ne sta seduto sotto i portici come se il bar che lo ospita fosse Fort Alamo e intorno non ci fossero macchine e turisti in flip-flop e canottiera ma il deserto. Andrea G. Pinketts lo trovi sempre a Le Trottoir, un locale in zona Darsena, dove è di casa. È qui che scrive i suoi libri. Si aggira tra i vari ambienti disinvolto, mostra la sala a lui dedicata, ci tiene a fare bella figura. Indica anche una serie di ventagli cinesi appesi a una parete. Poi torna fuori e va a sedersi davanti alla sua birra, accendendosi l’immancabile sigaro. Per essere un vero cowboy però ha una camicia troppo sgargiante, con stampate tante figurine di pin up anni ’50, che rimandano più alla California che a Sergio Leone. La Milano da bere non esiste più, il locale alle sei di pomeriggio è vuoto, e Pinketts sembra un reduce in attesa che tutto torni come prima. Magari ai tempi in cui andava in tv e frequentava il Maurizio Costanzo Show. I tempi in cui il trash faceva tendenza e credevamo di essere una grande potenza economica. E adesso? A 55 anni, dice di non voler più scrivere romanzi, mentre la raccolta di racconti Sangue di Yogurt, uscita nel 2002 per Mondadori, viene ripubblicata da un piccolo editore romano, Lastaria. Sul tavolo però non c’è il suo libro, ma Armageddon, thriller apocalittico di Alan A. Altieri, scomparso lo scorso giugno.

Ma perché le piacciono i duri?
“Mi piacciono i duri dal cuore tenero, gli ultimi, i balordi, perché alla fine sotto quelle scorze si nascondono delle anime nobili. C’è un’espressione inglese che dice nobody loves losers. Io la ribalto, perché oltre ad amare i perdenti amo le battaglie perse, forse perché c’è più gusto a vincerle.
D’altra parte in questo libro racconto tutte storie di emarginazione “.

Come le è saltato in mente di narrare l’innamoramento tra una donna e un riccio?
“Se muore un panda tutti si commuovono, mentre se un riccio viene investito da un camion, come accade quotidianamente, non gliene frega niente a nessuno. Ho voluto ridare dignità alla morte del riccio” ( sorride).

Eppure lei in passato sembrava a suo agio nella Milano da bere, quella dei ricchi più che dei ricci. Non si è fatto mancare niente, era un affezionato della tv trash.
“Sono andato ospite al Maurizio Costanzo Show e ho fatto l’inviato per la trasmissione Mistero, dove la maggior parte delle storie raccontate erano puttanate, ma un due per cento davano i brividi. Ho partecipato perfino, grazie a Vittorio Sgarbi, a La pupa e il secchione.

Non è un po’ troppo perfino per stomaci forti?
“Mi è sempre piaciuto travestirmi, lo facevo anche da giornalista, per le inchieste di Esquire e Panorama. Il mio motto è che la vita è breve ma larga e solo facendo mille cose si diventa rinascimentali “.

È più pulp o più qualunquista?
“Ma no, il qualunquismo è di chi si assoggetta per convenienza, mentre io ho sempre avuto problemi con il potere. Al liceo linguistico mi espulsero, alle elementari mi sospesero. La mia scrittura è anarchica, mescola i fumetti e Dostoevskij. Alla fine per me vale il giusto mezzo confuciano: vedere l’orrore con ironia e l’ironia con orrore. Il mio scrittore preferito è Shakespeare che riesce a coniugare la farsa e la tragedia. Tito Andronico è la storia più pulp che possa immaginare, sarebbe potuta diventare un film di Tarantino”.

Ha conosciuto Tarantino?
“Sì, ci siamo incontrati in un bar, durante un festival, non mi ricordo se a Cattolica o a Viareggio. Era lì per presentare Le iene, ma il film non era ancora uscito. Ricordo questo ragazzone americano lungo lungo che mi parlava della sua passione per il poliziottesco all’italiana, genere che aveva scoperto durante il suo lavoro da commesso in una videoteca”.

Lo considera un suo modello?
“Lo ammiro, sono un suo fan, ma ho fondato il mio personale pulp italiano prima di lui”.

Altri incontri importanti?
“Sempre in un bar, durante un festival, in piena notte, con Manuel Vázquez Montalbán. Ci scambiammo i libri, grazie a lui ho pubblicato il mio primo romanzo con Feltrinelli”.

Pinketts ordina una seconda birra, poi ricorda i suoi amici, i suoi “cattivi maestri”, da Carmelo Bene a Franco Califano (“L’ho anche cantato”). Intanto a Le Trottoir inizia ad arrivare qualcuno, parte la musica, ma la serata è ancora lontana dal decollare.

L’impressione però è che lei non si trovi a suo agio in questi anni.
“Se quelli della Milano da bere erano anni di plastica, questi sono anni vuoti. Gli anni dei social non mi appartengono. Per scrivere ho solo bisogno di una birra, di un foglio bianco e di una Montblanc. Sono socialissimo umanamente ma totalmente asociale tecnologicamente. Credo che ci sia stato un impoverimento della lingua. Gli sms non hanno niente a che vedere con le lettere che scrivevamo a mano. Che belli i tempi in cui se avevi una fidanzata a Belluno dovevi andare in una cabina telefonica con 50 gettoni e con quelli misuravi il tempo dell’amore”.

Si è innamorato molte volte?
“Tre volte e sono state tutte traumatiche”.

Per questo nei suoi libri le donne le fa sempre sparire o rapire, è una vendetta?
“È una regola del pulp, che come la detective novel si rifà alla tradizione narrativa cavalleresca, in cui devi salvare la principessa e uccidere il drago, facendone la parodia, esagerando, guardando tutto con la lente deformante del luna park. Perché, come diceva Jannacci, “l’importante è esagerare””.

Come nelle migliori fiabe.
“Nelle mie storie c’è un po’ dei Fratelli Grimm. Ci sono fate e orchesse, donne angeliche e rudi ostesse. Mi piace sfidare le nostre inquietudini. Ora sto lavorando a un progetto per racconti e immagini intitolato Face your phantoms, affronta le tue paure, insieme a Alexia Solazzo, l’artista che ha anche realizzato la copertina della nuova edizione di Sangue di Yogurt “.

Qual è la sua maggiore paura?
“La cronofobia, la paura del tempo che passa, che è poi soprattutto la paura di perdere gli amici. Pensare che un omaccione come Alan Altieri sia morto a 65 anni mi mette di fronte alla vacuità del tempo”.

Stare seduto al bar aiuta a sentirsi meno soli?
“I bar sono un antidoto alla paura, la trasformano in malinconia, qualcosa di dolce. Sono chiese laiche o pagane, templi di incontri per sconfiggere il tempo”.

Raffaella De Santis, La Repubblica

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