La ‘Rotta contraria’ degli italiani che vanno a lavorare nei call center di Tirana

Il film scritto e diretto da Stefano Grossi al Bifest di Bari. Con le testimonianze di giovani che scelgono di solcare l’Adriatico per tentare la fortuna in Albania. Esattamente come vent’anni fa facevano i loro coetanei, ma dalla parte inversa

“Se volete vedervi allo specchio, guardate l’Albania, che è un po’ una caricatura dell’Occidente” spiega Fatos Lobonja, il più importante intellettuale albanese indipendente, cicerone di un viaggio al rovescio che, non a caso, è intitolato Rotta contraria. È l’ultimo film scritto e diretto da Stefano Grossi, regista milanese che nel corso della sua lunga carriera ha diretto cortometraggi, lungometraggi e documentari, presentati in numerosi festival nazionali e internazionali. La produzione è di Own Air e Rai Cinema.Rotta Contraria, che Grossi presenterà a Bari al Bifest, in programma dal 27 aprile al 4 maggio, punta l’attenzione sull’Albania, oggi cantiere a cielo aperto, e soprattutto su Tirana, il simbolo di una nazione aggressiva e vitale, piena di forze fresche da gettare a profusione nel grande calderone del libero mercato e della new economy – dall’edilizia pubblica e privata al marketing finanziario e telefonico. E racconta, appunto, il viaggio di tanti giovani italiani, quelli che non si accontentano di annunciati redditi di cittadinanza e solcano l’Adriatico al contrario per cercare fortuna nella terra da cui, poco più di vent’anni fa, partivano navi stracariche di disperati che in Italia sognavano Lamerica.Tirana non è solo la capitale politica del Paese delle aquile, ma soprattutto la centrale dei call-center, galassia multiforme di imprese che macinano lavoro, operatori e vendite in un flusso continuo e martellante, rivolto in gran parte verso la nostra sponda dell’Adriatico. Grazie all’opportunità offerta dalla lingua, orecchiata e imparata dagli albanesi grazie alla loro storica frequentazione dei programmi televisivi Rai e Mediaset. Ed ecco spiegato come la prosperità di questo settore strategico del mercato del lavoro albanese, soprattutto giovanile, si leghi strettamente all’Italia, storico vicino geografico, ex colonizzatore e ora anche bacino inesauribile di utenti delle più svariate offerte telefoniche.Ma chi sono questi ragazzi albanesi di cui spesso conosciamo solo le voci? E cosa pensano dei loro colleghi italiani, con cui da qualche anno convivono nei medesimi call center e a volte condividono il lavoro in cuffia? E poi, soprattutto: qual è il mondo – l’idea di mondo – che si muove grazie a loro ma soprattutto dietro di loro?Il film è costruito come un racconto corale, che vede protagonisti proprio i ragazzi albanesi e italiani dei call center. Non si parla del presente ma della loro memoria, dei ricordi personali, delle aspirazioni per il futuro. Il presente, nel film – quello del lavoro alle cuffie e alla consolle – è, per così dire, “in sottofondo”.Un’inchiesta sulle visioni incrociate dell’Italia per i giovani albanesi e dell’Albania per i giovani italiani: unite idealmente dalle rotte marittime adriatiche dei ferries che collegano Valona a Brindisi e Durazzo a Bari, e dalle rotte aeree che collegano le principali città italiane all’aeroporto internazionale Madre Teresa di Tirana.Grazie anche alle interviste ad Agron Shehaj, presidente del più importante call center albanese, nonché deputato dell’opposizione al parlamento di Tirana, e il contributo di Fatos Lubonja che racconta il passaggio “dalla tragica irrealtà isolazionista del regime comunista di Henver Hoxha all’altrettanto tragica irrealtà d’importazione del modello turbo-capitalista” che i giganteschi videowall in stile Blade runner appesi alle facciate dei palazzi del centro di Tirana, simboleggiano in modo esplicito.

Lucio Luca, repubblica.it

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