ASIA KATE DILLON: “NÉ LUI NÉ LEI, DATEMI DEL LORO”. CINEMA E TV VANNO OLTRE I SESSI

La protagonista di “Billions”: non chiamatemi attrice. E Mtv dà i premi agli “attori”, senza distinguere maschi e femmine

Il 7 maggio, durante la premiazione degli Mtv Movie & Tv Awards (la categoria «Tv» è stata appena aggiunta), andrà in scena una piccola grande rivoluzione. I candidati al titolo di miglior attore e attrice saranno per la prima volta accorpati in un’unica categoria, senza distinzione di genere. Come «best actor» cinematografico («actor» in inglese indica anche il genere neutro) Emma Watson (La bella e la bestia) e Taraji P. Henson (Il diritto di contare) dovranno vedersela con Hugh Jackman (Logan) e Daniel Kaluuya (Get Out). Come «best actor» televisivo Emilia Clarke del Trono di spade è candidata, tra gli altri, con Millie Bobby Brown di Stranger Things e Donald Glove di Atlanta.
La decisione della rete americana è la risposta a un problema di fronte al quale Hollywood si trova e si troverà sempre più spesso: dove far competere attori «genderqueer», ovvero che non si identificano in nessuno dei due generi sessuali? Se il dibattito sui «non binari» è in Usa più vivo che mai è anche grazie a Billions, la serie che in Italia va in onda su Sky Atlantic, e a un suo nuovo personaggio, lo stagista Taylor, interpretato dall’attrice «genderqueer» Asia Kate Dillon.
«Salve. Vorrei che si rivolgesse a me usando il pronome “loro”», dice Taylor presentandosi a Bobby Axelrod, interpretato da Damian Lewis. Capelli quasi rasati, pantaloni su camicia e gilet, cravatta, Taylor nel giro di tre puntate conquista Bobby e il pubblico grazie a un punto di vista differente («È un grande vantaggio», dice il capo). Un successo che potrebbe trasformarsi in un’imminente candidatura agli Emmy Awards. Con un piccolo problema: in che categoria far gareggiare un’attrice di sesso femminile alla nascita, che non si riconosce nella distinzione di genere uomo/donna?
In una lettera indirizzata agli organizzatori della cerimonia Asia Kate Dillon scrive: «Vorrei sapere se ai vostri occhi le categorie “attore” e “attrice” richiamano a una differenza anatomica o di identità. Il motivo per cui lo chiedo è perché se le categorie “attore” e “attrice” si riferiscono rispettivamente a “miglior interpretazione di un attore che si identifica come uomo” e “miglior interpretazione di un attore che si identifica come donna”, allora non c’è spazio per la mia identità, che è non binaria. Se invece la distinzione riguarda il sesso assegnato alla nascita, mi chiedo: è davvero necessaria questa distinzione?».
La risposta degli organizzatori è stata sorprendente: siccome la Television Academy supporta l’inclusione, per le categorie degli attori non c’è in realtà nessun requisito legato al genere sessuale e quindi tutti possono candidarsi in tutte le categorie. «Asia è libera di scegliere quella dove si sente di appartenere».
La sua scelta è caduta sulla categoria «actor» perché «è un termine neutro che anch’io uso», ha dichiarato. Lo scambio epistolare con l’Academy ha ricevuto molta attenzione e potrebbe davvero rappresentare un punto di svolta e avanzamento per i diritti delle persone «genderqueer», almeno nel mondo dello spettacolo. «Quando ho letto sul copione “sesso femminile, genere non binario”, ho capito che si stava parlando di me», ha detto Dillon del suo personaggio. «Anche io avevo già rinunciato da tempo all’uso del pronome “lei”, ma interpretare Taylor mi ha aiutato a fare chiarezza sulla mia identità, a dare un nome a chi sono».
«Il pubblico dei Millennials non vede più differenze tra maschi-femmine, le sente come antiquate. Così ci siamo detti: abbattiamole!», ha dichiarato il presidente di Mtv Chris McCarthy spiegando la decisione della sua rete. L’ipotesi che anche gli Oscar si adattino alla nuova formula è per ora remota: la sproporzione tra ruoli da protagonista maschili e femminili è ancora molto alta e le donne finirebbero per essere sottorappresentate, ha giustamente notato Variety. Come a dire: prima di eliminare le categorie, combattiamo il sessismo.

Simona Siri, La Stampa

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