Addio a Joan Didion: la scrittrice che ha esorcizzato il dolore attraverso l’arte

In quell’elenco stilato ogni anno dai giornali più prestigiosi con i nomi di tutti gli scrittori e delle scrittrici meritevoli del Nobel per la Letteratura, Joan Didion ha sempre occupato una posizione di rilievo. La sua capacità di raccontare una storia intima e, per certi versi, proibita come l’elaborazione di un lutto in anni – era il 2006 – in cui affrontare apertamente il proprio dolore personale non era la convidisione di una pena ma l’ostentazione di una condizione che sarebbe dovuta essere privata, l’ha trasformata in un’icona della letteratura che ha mosso i primi passi in quel mondo diversi anni prima, dapprima come cronista e poi come scrittrice. Sfortutamente Didion, quel Nobel, non lo ritirerà mai: a 87 anni si spegne, infatti, una delle esponenti più attive e affascinanti del cosiddetto New Jornalism, icona di uno stile romantico, efficace e inconfondibile, emblema di un’eleganza di porcellana che, nonostante il fisico minuto, ha portato sulle spalle macigni enormi uscendone sempre a testa alta.

Come quella volta che, nel 2012, l’allora presidente degli Stati Uniti Barack Obama la insignì alla Casa Bianca della prestigiosa National Humanities Medal per le sue «opere di sorprendente onestà e feroce intelletto», illuminando dettagli apparentemente periferici che sono, in realtà, centrali nella nostra vita. In quell’occasione Joan Didion sfilò con uno scialle blu appoggiato sulle spalle e con un abito rosa cipria a incorniciarle la figura piccola e mingherlina, così fragile eppure così forte, così magra e incurvita eppure così capace di superare da sola ostacoli che la maggior parte di noi sarebbe incapace di gestire senza un aiuto. Gli eventi traumatici dell’ultima parte della vita di Didion sono stati, infatti, due: la scomparsa di suo marito John Gregory Dunne, scrittore anche lui, nel 2003, stroncato da un infarto la sera del 30 dicembre nella loro casa di New York, e di sua figlia Quintana, che al momento della morte del padre era ricoverata in stato comatoso in ospedale a seguito di una forte polmonite, spentasi ad appena 39 anni due anni dopo, il 26 agosto del 2005, per una pancreatite acuta. A queste due figure portanti della sua vita, Didion ha dedicato due libri: L’anno del pensiero magico, il suo libro più bello e più riuscito (in Italia lo pubblica Il Saggiatore), e Blue Nights. 

Sarebbe ingiusto, tuttavia, circoscrivere la vita di Joan Didion solo a questi due capolavori. Nata e cresciuta a Sacramanto, Joan inizia a scrivere all’età di cinque anni fino a quando, negli anni Cinquanta, non vince un concorso di saggistica sponsorizzato da Vogue iniziando a collaborare per la rivista. In quegli anni pubblica Run, River, il suo primo romanzo, seguito da Verso Betlemme, il suo primo e bellissimo lavoro di saggistica, e l’altrettanto meraviglioso The White Album, una raccolta di articoli pubblicati in precedenza su riviste come Life, New York Times ed Esquire nella quale rivela per la prima volta di soffrire di sclerosi multipla. Seguono diversi altri lavori come DemocracyMiami, ma anche un thriller romantico come The Last Thing He Wanted. La cosa bella di Didion, però, è che non si è mai tirata indietro di fronte alle sfide: insieme al marito firma, infatti, diverse sceneggiature per il cinema tra cui il remake di È nata una stella (la versione con Barbra Streisand e Kris Kristofferson) e Qualcosa di personale (con Michelle Pfeiffer e Robert Redford). Viene, però, ricordata soprattutto il cosiddetto New Jornalism, ossia la corrente cui fanno parte tutti gli articoli giornalistici strutturati come se fossero dei saggi letterari. Corrente che vede ancora oggi Didio come una delle esponenti più colte e competenti, simbolo di una sensibilità e di un’eleganza che oggi facciamo sempre più fatica a rintracciare.

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