Richard Gere, tutte le battaglie della star hollywoodiana

La star di Hollywood Richard Gere testimonierà al processo della Open Arms contro Matteo Salvini, a riprova del suo decennale impegno a sostegno di cause civili. Avevano fatto il giro del mondo foto e video dell’attore pluripremiato che nell’agosto 2019, prima dello sbarco della nave bloccata nelle acque di Lampedusa con 138 persone, era salito a bordo in segno di solidarietà e per portare viveri, pagati di tasca sua.
 “Queste persone sono angeli. Sono sopravvissute alla Libia, alle tragedie e ai traumi, anche solo per raggiungere le imbarcazioni”, aveva dichiarato l’iconico protagonista di Pretty Woman. In realtà l’impegno sociale del 72enne Gere – che si intreccia con la sua carriera cinematografica – non è cominciato con la difesa della causa dei migranti visto che da decenni dedica molte sue energie a cause socio-ambientali, sanitarie, culturali e politiche: un lungo trascorso che mette a tacere le voci critiche di quanti lo hanno accusato di essere in cerca di visibilità mediatica.  
 Già nel 2016, prima di recarsi a Taormina, in qualità di presidente onorario del Taormina Film Fest, aveva fatto visita a Lampedusa e nell’hotspot dell’isola siciliana incontrò migranti e operatori del centro d’accoglienza con i quali condivise un pranzo. Nel 2014, per il film “Time Out Of Mind” – uscito in Italia con il titolo “Gli invisibili” – si è trasformato in un senzatetto di New York, per raccontare le storie dei veri homeless della Grande Mela. Gere, grazie alla collaborazione con l’associazione Coalition for the Homeless, ha frequentato i rifugi e ha trascorso molte ore in strada con loro: è stato talmente credibile che una turista francese non riconoscendolo gli ha offerto una fetta di pizza. 
 Tra le sue battaglie prioritarie c’è anche la lotta all’Aids: fin dagli anni Ottanta ha sempre finanziato la ricerca e ha continuato a dedicarsi ad iniziative ed eventi di sensibilizzazione, soprattutto in India, terzo Paese al mondo per numero di contagi da virus Hiv. Dopo aver contribuito alla realizzazione di una struttura dedicata a donne e bambini affetti dalla malattia, l’Aids Care Home, per raggiungere un maggior numero di persone – su questo e altri progetti – ha lanciato una fondazione, la Gere Foundation India Trust. 
Nel 1999, in occasione di una sua visita in un campo profughi del Kosovo, ha sollevato a livello internazionale la questione dei rifugiati di una guerra che era allora in corso. Gere aveva sollecitato un intervento della comunità internazionale in loro sostegno. “Considerando che i bombardamenti sono guidati dagli Stati Uniti e dagli inglesi, il loro impegno a prendere i rifugiati deve essere molto, molto più elevato. Spetta sicuramente ai Paesi sviluppati del mondo, in particolare ai Paesi della Nato, assumersi molte più responsabilità di quante ne abbiano”, aveva dichiarato l’attore americano.   A distanza di anni è poi nuovamente tornato sull’argomento nel film “The Hunting Party”, uscito nel 2007, tratto da una storia vera, quando interpretò Simon Hunt, giornalista sulle tracce del criminale di guerra più ricercato della Bosnia soprannominato “la volpe”, ricalcato sulla storia del latitante Radovan Karadzic, poi arrestato nel 2008.
    Nel 2012 ha ricevuto dalle mani dell’allora presidente dell’Albania, Bamir Topi, una medaglia d’onore per aver mantenuto alta l’attenzione e per aver fatto conoscere al mondo il dramma dei kosovari.
    Gere si è anche impegnato a dare voce a persone che vivono situazioni di estrema difficoltà e non riescono ad essere ascoltati dei leader mondiali. Per questo motivo ha collaborato in diverse occasioni con l’associazione Survival International, che difende i diritti umani delle popolazioni indigene di tutto il mondo. Tra quelle ci sono stati gli Jumma, una tribù del Bangladesh alla quale il governo ha progressivamente sottratto le terre in cui vivevano, attuando una dura repressione dagli anni 70’ fino al 1997, anno della firma di un accordo di pace.  
    Di fede buddista, Richard Gere ha anche supportato diverse campagne a favore dell’indipendenza del Tibet. E’ il cofondatore della Tibet House e presidente dell’International Campaign for Tibet, oltre ad essere un fervente sostenitore del leader spirituale del Paese, il 14esimo Dalai Lama. Già nel 1993, dal palco degli Oscar, denunciò l’operato del governo della Cina: per le sue dichiarazioni non ha mai più potuto partecipare alla cerimonia come presentatore oltre a vedersi vietato l’ingresso al territorio della Repubblica popolare cinese.
    In occasione delle Olimpiadi di Pechino, nel 2008, ha invitato le persone ad osservare un “boicottaggio emotivo” nei confronti del Paese asiatico, argomentando che “il mondo non dovrebbe premiare le persone che sono così cattive con la propria gente”. 
    Da chitarrista autodidatta e collezionista di strumenti, in oltre 40 anni ha messo da parte un centinaio di chitarre, di cui alcune molto rare e appartenute a musicisti e cantanti mitici quali Bob Marley e Albert King. Per finanziare la costruzione di ospedali, cliniche e scuole in tutto il mondo, nel 2011 ha messo in vendita la sua collezione, raccogliendo oltre 936 mila dollari.

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