“Il Re Leone” di oggi è visivamente sbalorditivo ma meno magico

Il fotorealismo regala un’esperienza immersiva impareggiabile ma relega i personaggi in una gamma limitata di espressioni, finendo col minare pathos e coinvolgimento.

La Disney, a venticinque anni dall’uscita de “Il Re Leone”, caposaldo dell’animazione dell’infanzia, ne dà alle sale una nuova versione realizzata con la più moderna tecnica di computer grafica, quella del photo-real.

La regia è affidata a Jon Favreau, già autore del riuscito remake de “Il libro della giungla”, ma non si tratta di live-action come in quel caso e in quelli recenti di “Aladdin” e “Dumbo”: qui non ci sono attori ripresi dal vivo e tutto è frutto di una composizione digitale la cui accuratezza rende il risultato “più vero del vero”.

In maniera fedele e cauta si ripercorre scena dopo scena il dramma ispirato all’Amleto shakespeariano già al centro del film d’animazione. Se non fosse per l’aggiunta di qualche divagazione e per la scelta di dilatare temporalmente alcuni momenti portando a una mezz’ora aggiuntiva la durata dell’originale, potremmo definirlo un calco narrativo.

Come allora, il film si apre sui festeggiamenti per la nascita del leoncino Simba, erede del re Mufasa, mentre Scar, il fratello del reggente, resta in disparte a tramare nell’ombra per impossessarsi del trono. L’impresa gli riuscirà uccidendo Mufasa e facendone sentire responsabile il piccolo Simba, costretto dunque alla fuga. Solo una volta cresciuto e dopo aver fatto sua la filosofia spensierata dei nuovi amici Timon e Pumba, Simba ritroverà la compagna d’infanzia Nola e la volontà di tornare a casa a riprendersi ciò che è suo.

L’esperienza visiva è meravigliosa, le ambientazioni impressionanti così come la verosimiglianza zoologica: ci si sente immersi in un documentario di National Geographic. A riprova del grado di fotorealismo raggiunto dal film, il regista si è divertito a inserire due piccole riprese effettuate dal vero nella savana ma, a quanto pare, impossibili da scovare.

Il problema di questa nuova versione de “Il Re Leone” è che ciò in cui eccelle finisce anche per costituirne il maggior limite: il realismo va a sabotare l’espressività dei personaggi e dunque anche l’empatia per l’intera vicenda, perché la fedeltà digitale a quanto esiste in natura, inevitabilmente, rende straniante osservare gli animali dialogare tra loro e mette al bando le espressioni antropomorfe che li caratterizzavano nell’edizione animata. Il range delle intonazioni con cui sono pronunciate le battute è ben più ampio della mobilità dei musi animali ma, mentre la cosa è ben gestita da grandi professionisti come Luca Ward (qui voce di Mufasa) e Massimo Popolizio (Scar, un tempo doppiato da Vittorio Gassman), emerge in tutta la sua artificiosità quando nel secondo tempo del film arrivano Marco Mengoni ed Elisa (rispettivamente voce di Simba e di Nora divenuti adulti). I due cantanti prestati al doppiaggio danno il massimo ma la differenza qualitativa rispetto ai colleghi suona come una continua stonatura. Infine, anche la magica e astratta visionarietà coreografica che nel classico datato 1995 esaltava le canzoni qui non è replicabile, il che concorre a smorzare il già compromesso tono favolistico del film.

A chi si chieda il senso di dare alle sale un’edizione siffatta de “Il Re Leone”, basti sapere che è già il film animato col più alto incasso di sempre: è evidente che costituisca un appuntamento irrinunciabile sia per le generazioni cresciute con il classico sia per quella dei bambini di oggi. La genesi di questo capolavoro di tecnica profuma sì di business cinematografico, ma il sempiterno messaggio, quello che ci vede tutti collegati nel cerchio della vita, è oggi più che mai irrinunciabile, intatto nel suo accorato monito ecologista e aggiornato come antidoto a bullismo e disparità di genere.

Insomma, sono trascorsi cinque lustri ma “Il Re Leone” ruggisce più che mai, pronto a educare a una responsabile consapevolezza i figli dei nostri tempi, bambini o adulti che siano.

Il Giornale

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