Scorsese e la luce, “La mia è quella della lampadina”

A Bologna con Garrone, Golino, Rohrwacher e Carpignano

“La luce non è stata mai così importante nei miei film. Sarà perché da ragazzino c’era per me solo la luce del giorno e quella della notte quando accendevo l’unica lampadina della mia stanza. E poi per me allora c’era anche la luce drammatica della cattedrale di San Patrick a New York che è entrata in molte della mie opere”. A parlare così è il grande Martin Scorsese che a Bologna ha aperto la 33/ma edizione de Il Cinema Ritrovato (23 giugno – 1 luglio) con un singolare dialogo-intervista al Teatro Pubblico con quattro colleghi italiani: Valeria Golino, Alice Rohrwacher, Jonas Carpignano e Matteo Garrone. Quattro registi che si sono mostrati, più di quanto ci si aspettasse, timidi ed emozionati di fronte all’autore di Taxi Driver.Tanti i temi venuti fuori in questo incontro: il valore del restauro, di cui Scorsese è stato antesignano, la sua infanzia a New York, l’importanza della sala. Ovviamente si è parlato anche della sua creatività divisa tra neorealismo ed estetica, ma sulla quale alla fine prevale il cuore, l’idea che bisogna fare solo quello che si sente davvero anche a rischio di essere apprezzati da due sole persone.”Non si può paragonare l’esperienza di condividere con il pubblico un film, come accade solo in una sala cinematografica – dice Scorsese -.L’idea di uscire di casa e andare al cinema va sostenuta. Famiglie, vecchi, giovani andate al cinema e pagate il biglietto! Uscite di casa – invita Scorsese – anche per vedere un film restaurato” .Certo, aggiunge, “il mondo sta cambiando e nessuno sa davvero dove ci porta il digitale, ma non è detto che da questa tecnologia possa scaturire domani un nuovo Beethoven”.Quando finisce un film nessuno sa davvero come verrà percepito :”è una cosa che succede anche a me – replica ai dubbi della Golino -. Sai solo che forse tutti ti daranno contro, ma a questo punto ti puoi fidare solo della fiamma che era dentro di te all’inizio e se quello che hai sentito tu viene percepito anche solo da due persone hai comunque fatto la cosa giusta”. Alice Rohrwacher lo stuzzica sulle sue origini italiane: “Sono cresciuto in una famiglia italo-americana che veniva dalla Sicilia, una grande famiglia di lavoratori in cui si parlava un inglese stentato. Soffrivo di asma, non potevo fare sforzi e giocare più di tanto e così mi portavano sempre al cinema a vedere quei bei western pieni di colori e quegli animali che non potevo mai toccare. Da grande ho scoperto il neorealismo italiano, film come ‘Roma città aperta’, ‘Sciuscià’ e ‘Ladri di biciclette’ e ho scoperto che quella era realtà vera, la stessa della mia famiglia. Diversi invece i film americani che vedevo.Parlavano anche loro di realtà, ma alla fine c’era sempre dentro una parte di entertainment”.Sul restauro, vera passione che lo lega con grande forza alla Cineteca di Bologna, mette in guardia: ” le pellicole vanno conservate – dice più volte – , ma la cosa divertente è che il digitale è ancora più fragile della celluloide che dura circa cento anni. Il digitale è molto più delicato e se non ci mettiamo mano subito rischiamo, a breve, di perdere tutto”.E proprio a proposito di restauro, nella splendida Piazza Maggiore di Bologna, ieri sera è stato proiettato un classico del cinema messicano, Enamorada, diretto nel 1946 da Emilio Fernández e restaurato da The Film Foundation/World Cinema Project con UCLA Film & Television Archive, Filmoteca UNAM, Televisa e con il sostegno The Material World Charitable Foundation.

Ansa

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