Vittorio Brumotti torna sul luogo dell’aggressione: “La mia è una vocazione, come la fede dei preti”

Vittorio Brumotti incarna tutti i caratteri del reporter d’assalto. Non ha bisogno di varcare i confini per le sue inchieste, gli basta salire in sella alla sua bicicletta e pedalare lungo le strade delle nostre città per avere materiale utile per i suoi reportage d’inchiesta.

Nasce come sportivo, è un campione di bike trial e la bicicletta è quasi la sua coperta di Linus, immancabile in ogni suo servizio. Antonio Ricci l’ha fortemente voluto nella sua squadra, prima per mostrare al mondo le sue capacità sulle due ruote, con esibizioni al limite del possibile, poi come inviato vero e proprio, per svolgere inchieste sul territorio alla ricerca delle magagne illegali del Paese, rischiando spesso più di quanto si dovrebbe. L’ultima aggressione è di pochi giorni fa, quando un gruppo di spacciatori gli ha spaccato il suo bastone della Go-pro sulla mandibola.

Stavolta per lui è stato necessario ricorrere alle cure mediche, con un brevissimo ricovero all’ospedale Niguarda di Milano, dove Vittorio Brumotti è arrivato nel pomeriggio di sabato a bordo di un’ambulanza. Ha poi firmato per uscire, ma i segni fisici e mentali di questa aggressione sono ancora ben visibili, come ha raccontato al Corriere della Sera: “Per rigenerarmi sono tornato sul luogo del misfatto con la mia mascella mezza distrutta: è il mio modo per superare il trauma.” Prima di essere colpito, Brumotti è stato fatto oggetto di un lancio di sassi e bottiglie, il tutto nella centralissima viale Città di Fiume a Milano, a ridosso dei Giardini Pubblici Indro Montanelli, lungo i bastioni che nel weekend sono frequentati dalle famiglie con i loro bambini. “C’erano tanti ragazzi di colore. Ma non sopporto le generalizzazioni. Sono di colore anche i tanti ragazzi che ci hanno portato il cibo a casa con Glovo per soddisfare i nostri vizi. La colpa dello spaccio è degli italiani: sono loro i primi consumatori di droga“, racconta Vittorio Brumotti, che ha un’idea molto chiara sulla tipologia di organizzazione di questi gruppi di spaccio: “La ’ndrangheta controlla il 90% del mercato della coca. Quando mi sono venuti addosso non ho visto dei piccoli spacciatori, ho visto la ’ndrangheta.”

Vittorio Brumotti sembra non temere le conseguenze delle sue azioni e delle sue parole e sono tanti quelli che stigmatizzano il suo comportamento, considerato incosciente. Ma l’inviato di Striscia la notizia sembra non curarsi delle critiche e continua nel suo lavoro, che pare lo appassioni nel profondo: “Lo faccio per vocazione, come la fede per i preti.” La vocazione di Brumotti per smascherare l’illegalità arriva da lontano, da una famiglia di militari. Suo papà è un ex carabiniere, lo zio un generale: “Il senso delle regole ce l’ho nel sangue. Molti pensano sia un esaltato o un incosciente, ma anche se non andassi in onda farei questo lavoro. Non lo faccio per apparire e non lo faccio nemmeno per soldi. Quello che guadagno dal programma lo reinvesto per fare sempre ricerche sul territorio.” Non ha paura delle sue inchieste e non teme le minacce, tante, che gli sono piovute addosso in questi anni: “Mi hanno minacciato di morte in tutti i modi, ma non mi fermo perché se no hanno vinto loro.”

Il registro del racconto di Vittorio Brumotti non è quello canonico dei reportage sulla malavita, è ovviamente in linea con lo stile scanzonato e irriverente di Striscia la notizia, che se pure con ironia è da più trent’anni impegnata nella lotta alla criminalità con le inchieste sul territorio. L’inviato in bicicletta ha sposato alla perfezione lo spirito del tg satirico e si dice orgoglioso di farne parte: “Le mafie vanno ridicolizzate e Striscia ha trovato la chiave ironica giusta, con questo personaggio che va in bicicletta nei luoghi dello spaccio. Vado a saltellare davanti a loro e li rendo ridicoli.”

Francesca Galici, ilgiornale.it

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