The Farewell. Una bugia buona da non perdere

Per il Natale una famiglia cinese piena di sentimento

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Al di là di ogni retorica la famiglia raccontata in The Farewell. Una bugia buona di Lulu Wang ti riconcilia con questa istituzione spesso a rischio durante le feste natalizie. E questo è solo uno dei meriti di questo secondo film della regista, già alla Festa di Roma e ora in sala con la Bim dal 24 dicembre.
In questo film, da non perdere, tanti i temi. Tra questi il racconto di un paese, la Cina, dove stridono sempre più tradizione e modernizzazione e poi l’inevitabile confronto, tra Oriente ed Occidente, sul modo di affrontare morte e malattia.
Tutto questo con malinconica ironia, in commedia.
Protagonista del film e suo vero motore, Billi (Awkwafina, rapper statunitense di origine cinese), ragazza molto smart in cerca di lavoro, nata in Cina e cresciuta negli Stati Uniti, a New York.
Ora quando la sensibile Billi scopre che l’amata nonna, Nai-Nai (una grandissima Zhao Shuzhen), rimasta in Cina, ha solo poche settimane di vita, in cuor suo si dispera. In famiglia questa ferale notizia è nota ormai a tutti, ma di comune accordo si è deciso di tenere nascosta la verità alla diretta interessata per farle vivere serenamente i suoi ultimi giorni. Così, con l’espediente di un matrimonio da celebrare in fretta e furia, tutta la famiglia – chi dall’America, chi dal Giappone – si riunisce a casa di Nai-Nai, a Changchun. Una rimpatriata nel passato da parte di Billi in una città ormai a lei sconosciuta. Unica certezza, invece, la famiglia, con le sue pazzie, rituali ed affetti. Al centro di questa ovviamente c’è Nai-Nai, una vera e propria matriarca, una donna prepotente e dolce. Intorno alla sua ingombrante figura, che diventa il simbolo di una cultura incontaminata, si raccoglie tutta la famiglia a cui è comune il segreto della sua malattia. La domanda è: cosa è giusto, nasconderle la verità della sua imminente morte o comunicargliela? A un certo punto lo zio di Billi, che vive in Giappone, dice la sua sulla differenza nella percezione della morte tra Oriente ed Occidente. “In Oriente – sottolinea – una persona è parte di un tutto e conta più questo della sua stessa individualità, così sta a noi prenderci il peso del dolore della sua scomparsa e non dire niente a lei”. “Non mi riconosco in queste persone che hanno romanticismo verso la patria – dice la regista di questo film molto autobiografico che, tra l’altro, ha vinto il premio del pubblico al Sundance -.
Ogni volta che torno in Cina, mi sento più americana che mai, quindi è questa la vera domanda: ‘Beh, dov’è davvero casa?’ Il fatto è che noi la cerchiamo sempre e non ci inseriamo mai completamente nei luoghi in cui ci ritroviamo”.

Ansa.it
   

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