Di Maio a di Martedi

La Tv di Maramaldo
La puntata di DiMartedì, su La 7, mi è sembrata straordinaria perché ha messo in scena, a confronto, le due Italie di oggi, come raramente succede in televisione. Il clou è stato l’intervista a Luigi Di Maio, che Giovanni Floris dapprima ha condotto da solo, poi con il sostegno di Massimo Franco, editorialista del Corriere della Sera, e di Luigi Contu, direttore dell’Ansa. Da una parte Di Maio in quasi totale solitudine, se si eccettuano gli interventi di Andrea Scanzi e Mario Giordano in altri momenti della puntata. Dall’altra, oltre al trio Floris/Franco/Contu, tutti gli altri ospiti critici e ostili verso Salvimaio: da Scalfari alla Fornero, da Giannini a Sallusti, ad Alain Friedman e via attaccando e stuzzicando, con il solito repertorio che ormai, tra giornali e talk show, abbiamo imparato a memoria. Il guaio (per i critici) è che la televisione è terribile, inesorabile: mette a nudo emozioni e pregiudizi, gli stati d’animo. E nell’intervista clou Floris appariva sudato, congestionato, animoso; Franco aggrottato (ingrugnato?) e sprezzante; Contu più tranquillo, ma visibilmente, astutamente in agguato. Di fronte a loro, un Di Maio sorridente e sereno, disinvolto nel rintuzzare obiezioni, ironie e risatine.
La mia opinione? Non so chi alla lunga prevarrà e cosa succederà, ma credo di capire perché le elezioni siano state vinte da 5Stelle e Lega, e perché i consensi per loro crescano ogni giorno. Il punto di forza è quello che ha consentito a Di Maio di vincere, ieri sera, la sfida dialettica e politica: che cosa hanno fatto i precedenti governi, se non produrre disastri e consentire una dilagante corruzione? e perché tanto accanimento, ora, verso chi prova a cambiare le cose?
Quanto a DiMartedì, i risultati di ascolto sono buoni: dal 6,5 si sta assestando all’8 per cento. Nel merito e per la qualità, invece, il programma non mi convince, è appesantito da tre handicap. Il primo: l’orgia (grottesca, fastidiosa) dei continui applausi del pubblico in studio verso qualsiasi opinione e quelle contrarie. Il secondo: la superfluità di Gene Gnocchi, che non propone una battuta che sia una in grado di far ridere, ieri addirittura Di Maio guardava il telefonino e Scalfari non capiva una parola, mentre il comico gnoccolava proprio su di loro. Terzo handicap: Floris é colto e documentato, ma è difficile condividere la sua trasparente faziosità e non si capisce perché tanto si sganasci per le banalità di Gnocchi. Dunque è un programma vincente, ma slegato e contraddittorio: in fondo un simbolo metaforico della confusa decadenza italiana.

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