40 anni fa moriva Peter Sellers: ombre, tormenti e solitudine di un genio comico

Il 24 luglio 1980 scomparve uno dei più grandi attori comici di tutti i tempi: un uomo solo e tormentato, di talento inarrestabile, che se andò con un’ultima gag

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Nell’aprile 1964, dopo il primo arresto cardiaco della sua vita ad appena 38 anni, il cervello di Peter Sellers era rimasto privo di ossigeno per due minuti. A cinque minuti, dicono i medici, le cellule cerebrali iniziano a morire, a otto minuti i danni si fanno estesi e permanenti: dunque due minuti non sono nulla di troppo grave, ma pur sempre il primo di una lunga serie di infarti, che gli causò un certo rallentamento mentale di cui avvertì la presenza fino all’ultimo giorno della sua vita. Il 24 luglio 1980, quarant’anni oggi, il giorno in cui scomparve uno dei più straordinari e irrefrenabili talenti comici della storia.

Secondo il luogo comune, lontano dalla scena l’attore comico è un uomo triste, tormentato, depresso, preda di demoni che cerca di scacciare fingendosi in continuazione qualcun altro. Peter Sellers aderiva perfettamente al cliché e non lo nascondeva affatto, anzi lo esasperava a ogni occasione in cui veniva interpellato sull’argomento, per esempio dalla nostra Oriana Fallaci o dalla rana Kermit del Muppet Show, in un’apparizione televisiva bizzarra e inusuale (e dunque profondamente “sellersiana”) del 1978 in cui l’attore confessò la sua natura più profonda: “Non esiste nessun me stesso. Io non esisto. Un tempo avevo un io, ma l’ho fatto rimuovere chirurgicamente”. Un uomo solo, prigioniero dei troppi matrimoni (quattro in tutto) e dei mille farmaci che fu costretto ad assumere ogni giorno a partire dal 6 aprile 1964 quando, dopo una notte d’amore con la moglie Britt, fu ricoverato d’urgenza all’ospedale degli attori di Hollywood, rimanendoci un mese e superando l’Everest di una sequenza di otto arresti cardiaci tutti affrontati con il defibrillatore.

Nonostante una salute quantomeno compromessa a neanche quarant’anni, Sellers trovò tempo e modo di disegnare alcuni dei personaggi più indimenticabili della storia del cinema: dal mellifluo Clare Quilty in Lolita di Stanley Kubrick allo scatenato trio di personaggi nel successivo Dottor Stranamore (nella sua carriera, Kubrick diede assoluta carta bianca solo a due attori: lui e Jack Nicholson in Shining). E poi il rapporto di odio e amore con Blake Edwards, che gli aveva dato la notorietà internazionale facendogli interpretare il ruolo dell’Ispettore Clouseau nel ciclo della Pantera Rosa: nonostante questo, Sellers non lo stimava granché, ritenendolo privo di talento e litigandoci spesso e volentieri, sul set e nelle occasioni mondane. Eppure insieme diedero vita a quello che è probabilmente il più grande personaggio della sua carriera, l’indiano Hrundi V. Bakshi che distrugge il set e poi la villa di un produttore in Hollywood Party, vetta difficilmente superabile del cinema comico americano. Vi invitiamo a guardare l’escalation dei cinque minuti qui sotto, praticamente muti, per farvi un’idea.

Gli anni Settanta di Peter Sellers erano trascorsi tra un fallimento e l’altro, con molti ruoli dozzinali accettati soprattutto per motivi economici, in pellicole di basso livello regolarmente stroncate dalla critica e ignorate dal pubblico. Blake Edwards l’aveva rimesso in pista rilanciando il ruolo dell’Ispettore Clouseau con tre nuovi episodi della Pantera Rosa che ebbero grande successo, ma che lui affrontava ormai con crescente fastidio. Proprio a fine decennio arrivò il ruolo della vita, un personaggio molto più sottile e complesso dei precedenti: Chauncey Gardiner, il giardiniere idiota e tele-dipendente che in Oltre il giardino, abbandonato dal suo precedente padrone, diventa suo malgrado un intellettuale e maître-à-penser candidato alla Presidenza degli Stati Uniti. Quasi ossessionato dal romanzo originale di Jerzy Kozinski da cui era stata tratta la sceneggiatura, Sellers si batté per interpretare il protagonista, calandosi nella parte con un’intensità tale da essere inavvicinabile per gli altri attori sul set, per paura di “perdere il personaggio”. Il film è una satira sul potere dei media attualissimo ancora oggi (alla televisione possiamo tranquillamente sostituire Internet e i social); Sellers vinse il Golden Globe come miglior attore comico, ma dovette incassare l’amarezza di essere sconfitto agli Oscar da Dustin Hoffman (per Kramer contro Kramer) e al Festival di Cannes da Michel Piccoli (per Salto nel vuoto). Al regista Hal Ashby venne l’idea di montare sui titoli di coda del film alcune scene tagliate in cui l’attore, sdraiato su un tavolo, ride a crepapelle non riuscendo a completare le battute della scena che sta girando: un’idea non molto gradita dall’attore ma perfettamente rappresentativa del vero Sellers, un fenomeno non del tutto capace di gestirsi sul set, talentuosissimo ma irregolare, che spesso causava ritardi e sforamenti nelle produzioni.

Oltre il giardino è ritenuto il testamento artistico di Peter Sellers, certamente più dignitoso del successivo e dimenticabile “Il diabolico complotto del dottor Fu Manchu”, di cui era stato anche regista non accreditato. Il 22 luglio 1980, appena rientrato dalla Svizzera, Sellers consumò un pranzo leggero nella sua suite al Dorchester Hotel di Londra con vista su Hyde Park. La sera avrebbe cenato con Spike Milligan e Harry Secombe, gli amici di una vita con cui aveva condiviso quasi dieci anni di Goon Show, il programma radiofonico della BBC che gli aveva dato la notorietà negli anni Cinquanta. Aveva appena scelto l’abito da indossare, un completo scuro, quando si sentì svenire e cadde per terra. Fu trasportato al Middlesex Hospital e, senza mai riprendere conoscenza, morì pochi minuti dopo la mezzanotte del 24 luglio 1980. Ai funerali ci fu tempo per l’ultimo numero comico, annunciato ai presenti da un altro vecchio amico e collega, Michael Bentine, colui che aveva ispirato la gag del braccio meccanico per il personaggio del Dottor Stranamore. Il feretro fu accompagnato al forno crematorio dalle note della celebre In the Mood di Glenn Miller, scelta apposta da Peter Sellers per una ragione ben precisa: era il brano musicale che odiava di più in assoluto.

Giuseppe Pastore, Tg24.sky.it

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