Juliette Binoche è “La brava moglie” in una nuova commedia

Che cosa succede in una scuola per future spose modello quando arriva il femminismo? La risposta in una commedia divertente con l’attrice francese

Juliette Binoche racconta a Vogue il suo ultimo film, “La brava moglie”

Una scuola per perfette casalinghe, aperta a un gruppo selezionato di ragazze perbene e alla ricerca di prospettive matrimoniali vantaggiose: siamo negli Anni Sessanta in Francia e la struttura è diretta dall’impeccabile Paulette Van der Beck. Ironia della sorte, a interpretarla è Juliette Binoche, che in vita sua non si è mai sposata. Questi e tanti altri adorabili paradossi sono alla base della deliziosa commedia “La brava moglie”, presentata in anteprima al Festival di Zurigo e in uscita nelle sale il 24 giugno. Abbiamo intervistato l’attrice Premio Oscar, che vedremo anche al prossimo Festival di Cannes con “France” di Bruno Dumont e con “Ouistreham” di Emmanuel Carrère (apertura della Quinzaine des Realisateurs).

La trama

Ricca di spensieratezza e di contraddizioni, la premessa de “La brava moglie” inizia a scricchiolare quando questa donna perde marito e sostanze e si ritrova allo sbando, destinata a mettere in discussione le sue certezze sulla necessità per l’universo femminile di soddisfare quello maschile e sulla missione di una sposa intesa come devozione verso lo sposo declinata in tutte le faccende domestiche possibili e immaginabili. Intanto il femminismo è nell’aria e tutte le credenze sull’angelo del focolare sono destinate a lasciare presto il posto a nuove e rivoluzionarie idee d’indipendenza e libertà.

La parola a Juliette

In che contesto si svolge la storia del film?

Nel secondo dopoguerra gli uomini tornano a casa e si riprendono il potere, quindi le donne vengono nuovamente relegate ai lavori domestici. Questo genere di scuole è realmente esistito, per fare in modo che le ragazze fossero adeguatamente sottomesse nel ruolo di moglie. Può sembrarci strano oggi, ma questo processo verso la parità è ancora in corso e non nasce solo dal desiderio emotivo di essere riconosciute ma dalla necessità di essere rese libere. D’altro canto il fragile ego maschile si è mal adattato a reinventare la relazione e i ruoli”.

Questa volta la vediamo in scena in un ruolo brillante e comico. Pensa di esserci più portata rispetto ai personaggi drammatici?

“Non saprei, ricordo solo che mio padre è morto durante le riprese, il che mi ha fatto vedere tutto il resto sotto una nuova luce ed è come se mi fossi lasciata guidare da lui. Ho fatto altre commedie in passato, come “Chocolat”, ma hanno tutti toni diversi anche se il principio non cambia: devi fingere di essere qualcun altro”.

L’autoironia non le manca di certo, come ha dimostrato in uno degli episodi più esilaranti della serie tv “Chiami il mio agente”. Con se stessa però è molto critica?

“Tantissimo, anche se meno del passato. Prima avevo questi inarrivabili standard di perfezione, ora invece ho capito come accettare i miei limiti.”

Lei ha due figli, ma non è mai convolata a nozze. Pensa che l’istituzione oggi stia scricchiolando?

Non considero il matrimonio come un obiettivo per sentirmi realizzata, ma so bene come il patriarcato abbia imposto ai figli maschi cose molto diverse rispetto alle femmine. In alcune famiglie alle ragazze veniva chiesto di sposare un buon partito ad una certa età per ricevere stabilità economica, ma per fortuna per le nuove generazioni la situazione sta cambiando. Anche se vedo attorno a me donne che recitano una parte di fronte al marito, si presentano come perfette perché vogliono viste come un’ideale di perfezione, un’icona irreale. In alcuni casi rigettano l’indipendenza perché hanno bisogno di protezione e si rifugiano in una sorta di figura paterna“.

Da figlia d’arte (con padre regista e madre attrice), quando ha capito che avrebbe seguito le orme dei genitori?

“A 14 anni mi trovavo in un teatro francese e quando ho visto sul palco interpreti provenienti da diverse nazioni a fine spettacolo mi sono ritrovata in piedi ad applaudire e desiderare di rendere anch’io le persone così felici. In quel momento ho capito quale sarebbe stata la mia strada, ho trovato uno scopo, in me è scattata una molla nel profondo. Per frequentare la scuola d’arte, però, mi sono dovuta mantenere da sola.”

Come sceglie oggi i suoi progetti?

Cerco di fare attenzione alle mie scelte. A volte dico di sì ad un copione senza saperne il motivo, per poi scoprirlo dopo, quando ci lavoro sul set. In altre circostanze sono combattuta perché so che sbagliando un progetto posso mettere a repentaglio molto di più. D’altronde lavorare con un regista di cui mi fido è come tornare in famiglia. Nel lavoro, come nella vita, è l’amore la forza più potente di tutte“.

(Alessandra De Tommasi)

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