Andrea Delogu: «In tv ho imparato da Arbore (e non dimentico la lezione di San Patrignano)

Andrea Delogu dal 29 giugno condurrà su Rai1 La vita in diretta Estate insieme a Marcello Masi, giornalista, ex direttore del Tg2.

Non è un cliché? La donna deputata all’intrattenimento leggero, l’uomo che fa l’impegnato?
«Credo che questa volta molti rimarranno stupiti, ci siamo mischiati con i ruoli — se questi sono i ruoli definiti. Siamo entrambi conduttori: Marcello affronta anche argomenti di intrattenimento; mentre io già a Radio2 mi occupo di temi di tutti i tipi. Dunque saremo complementari».

La sua palestra è stata con Arbore, con «Indietro tutta! 30 e l’ode»…
«Ho avuto la fortuna di lavorare con un mattatore che conosce il pubblico. Non la televisione; e c’è una grande differenza. Con Renzo è facile stare sul palco: qualsiasi cosa accada in scena con lui l’errore diventa show. Anche a Stracult ho imparato a lavorare sugli errori, a farne un punto di forza; invece alla Vita in diretta Estate voglio mettere alla prova una versione più precisa di me, in un orario importantissimo, con tanti occhi addosso».

La sua vena artistica quando è nata?
«Ho sempre cercato di farmi ascoltare, ero una bambina iperattiva, mi piacevano il ballo e il canto. A 14 anni ero in piazza a Rimini al concerto di Cristina D’Avena, lei era in ritardo ma mancava un conduttore che avvisasse il pubblico che bisognava aspettare. Sono salita sul palco, ho sentito la mia voce riecheggiare nella casse, tutti si sono girati verso di me, ed è stata un’emozione forte, ho deciso di farne un lavoro».

Come si è preparata?
«Ho studiato tanto. A partire dalla dizione. Non si sente il mio accento romagnolo vero? Con quello che ho pagato…».

Niente, non si sente nemmeno un tortellino.
«E poi ho studiato recitazione, canto, tutte cose che non sai se ti serviranno ma ti danno la possibilità di stare sul palco con una base. Credo molto nello studio. Nella mia vita c’è qualche gran botta di fortuna e anche tanto allenamento».

La radio aiuta tanto.
«La radio è una palestra incredibile, una risorsa inimmaginabile. Tutti dovrebbero fare radio se vogliono diventare intrattenitori. Imparare a condurre senza farti vedere è fondamentale: il pubblico della radio non ha pietà; non sono fan, sono ascoltatori e non basta un sorriso per convincerli».

C’è qualche conduttrice a cui guarda come modello?
«Ho sempre apprezzato le grandi conduttrici, come Antonella Clerici, Raffaella Carrà, Simona Ventura. Ma le guardo alla stregua dei grandi conduttori, il reggiseno non fa la differenza».

Per lei il 2020 è un anno importante. Oltre alla tv, c’è il debutto al cinema (la commedia romantica «Divorzio a Las Vegas») e a teatro con il thriller psicologico «Il Giocattolaio», in cui recita con suo marito Francesco Montanari.
«Lui viaggia tantissimo per i set e mi sembra di stare con un militare: non c’è mai. Dato che lo vedevo molto poco, ho deciso che avrei lavorato con lui. Per avere il servizio completo abbiamo scelto un’opera dove ci possiamo anche baciare, anche se lui sul palco non voleva un bacio appassionato, con trasporto, come nella vita. Tu qua sei la mia collega, mi ha detto. Ci sono rimasta male, ma ho fatto comunque bene a sposarlo».

Ansia o leggerezza: come vive i debutti?
«Ho imparato a cadere e non disperarmi, si sbaglia, si migliora, magari si parte con il botto».

Come ha raccontato in un libro, lei fino a 10 anni è cresciuta nella comunità di San Patrignano, dove si erano conosciuti i suoi genitori. Qual è l’insegnamento più profondo che le ha lasciato quell’esperienza?
«La condivisione. Lì tutto era mio, ma anche nostro. Non è facile da spiegare, ma vivere le cose in gruppo è uno stimolo a non smettere mai di creare, è molto emozionante sapere che non stai vivendo qualcosa da sola. Ci sono cresciuta, è il mio dna. Questa sensibilità è entrata dentro di me e dentro tutti i bambini che sono cresciuti con me».

È un bell’insegnamento per la società di oggi, dove lo Stato è poco comunità e il pubblico è maltrattato perché nessuno lo sente proprio.
«Esatto, è proprio quello che manca nella mentalità dei cittadini, la res publica dovrebbe essere responsabilità di tutti, invece si pensa sempre che ci sia qualcun altro che ne debba prendere coscienza o cura».

È cintura nera 2° dan di karate, cosa le dà quest’arte marziale?
«Mi piacciono la disciplina e il rispetto del karate: la cintura più alta, ovvero quella che conosce di più, che ha più sapere, viene sempre rispettata dagli altri».

Condivisione e rispetto: con un po’ di San Patrignano e un po’ di karate forse il mondo sarebbe migliore.

Renato Franco, Corriere.it

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