Alberto Sordi, 20 anni fa moriva il grande attore: manca la sua ironia che raccontava l’Italia

Scomparso il 24 febbraio 2003 l’artista non aveva ancora compiuto 83 anni: dal 2001 era malato 

Alberto Sordi moriva 20 anni fa. Era il 24 febbraio 2003 quando il grande attore, tra i più amati dagli italiani, si spegneva nella sua casa di Roma senza aver ancora compiuto 83 anni. Era malato dal 2001 e le sue uscite pubbliche si erano già molto diradate negli ultimi tempi. Con oltre 200 film nel suo curriculum l’Albertone nazionale è considerato uno dei più grandi interpreti della commedia all’italiana insieme a Ugo Tognazzi, Vittorio Gassman, Nino Manfredi e Marcello Mastroianni. Attore e regista ha magistralmente interpretato l’arte di arrangiarsi e rappresentato in maniera esemplare la tragicomica evoluzione sociale dell'”italiano medio” dal dopoguerra in poi. A tutti manca ancora oggi la sua ironia che raccontava l’Italia.

Non rappresentava soltanto gli italiani nei suoi film: lui riusciva a essere l’incarnazione sullo schermo dei vari tipi di italiano a cui sapeva dare volto e voce, dal personaggio più leggero e comico a quello più triste e drammatico. La sua morte ha lasciato tutti orfani del suo talento, della sua simpatia, del suo modo di raccontare con ironia l’Italia. 

La lettera di Proietti al funerale

  Un fiume di gente gli rese omaggio nella camera ardente allestita al Campidoglio, una marea umana gli tributò l’ultimo saluto a San Giovanni in Laterano, dove per il funerale, il 27 febbraio, l’intera piazza si riempì di persone in lacrime, ma che lo ricordavano anche con un sorriso, come a lui sarebbe piaciuto. Commovente l’addio di Gigi Proietti, che lesse una poesia scritta per l’occasione: “Io so’ sicuro che nun sei arrivato ancora da San Pietro in ginocchione, a mezza strada te sarai fermato a guarda’ sta fiumana de persone. Te rendi conto si’ ch’hai combinato, questo è amore sincero, è commozione, rimprovero perchè te ne sei annato, rispetto vero tutto pe’ Albertone. Starai dicenno: ma che state a fa’, ve vedo tutti tristi nel dolore e c’hai ragione, tutta la città sbrilluccica de lacrime e ricordi ‘che tu non sei sortanto un granne attore, tu sei tanto di più, sei Alberto Sordi”. 

Al funerale si calcola fossero presenti oltre 250mila persone. Dopo la cerimonia funebre, il feretro venne tumulato nella cappella di famiglia nel Cimitero Monumentale del Verano a Roma. Sulla sua lapide è inciso l’epitaffio: “Sor Marchese, è l’ora”, una battuta ripresa da uno dei suoi film più celebri, ‘Il Marchese del Grillo’. Fra i più importanti attori del cinema italiano di tutti i tempi, Sordi ha recitato in 160 film ed è considerato uno dei più grandi interpreti della commedia all’italiana con Nino Manfredi, Vittorio Gassman, Ugo Tognazzi, Marcello Mastroianni, Monica Vitti. I film di cui è stato protagonista sono pietre miliari, e raccontano vizi e virtù di un intero popolo, in un modo in cui non è riuscito a farlo mai nessuno come lui. 

Popolarissimo e molto amato, soprattutto a Roma, la sua città, nel 1996 si diffuse una voce secondo la quale Sordi volesse candidarsi come sindaco, sfidando Francesco Rutelli. Era ovviamente solo una diceria, ma in ogni caso il giorno del suo ottantesimo compleanno, il 15 giugno 2000, il sindaco Rutelli gli cedette simbolicamente la fascia tricolore, nominandolo sindaco onorario per un giorno.

Una statua per Albertone

  E sarà proprio la sua città, Roma, a dedicargli una statua. Il progetto è stato annunciato dal vicepresidente della Fondazione Museo Alberto Sordi, Giambattista Faralli, durante la presentazione del libro “Caro Alberto” a cura di Alberto Crespi realizzato raccogliendo alcune delle moltissime lettere che l’attore riceveva dagli italiani tutti i giorni e che sono custodite nell’Archivio Sordi. La Fondazione ha approvato la proposta del Muncipio V (formato dai quartieri storici spesso location di film anche di Sordi come Un borghese piccolo piccolo, ossia Pigneto, Prenestino, Torpignattara, Quadraro, Villa Gordiani, Collatino, Centocelle, Alessandrino, Quarticciolo) per ricordare l’attore. Presto ci sarà un bando per artisti under 35 per scegliere il prototipo che meglio rappresenterà l’Albertone nazionale. Secondo quanto annunciato la statua, in una location da individuare nel Municio V, sarà collocata entro l’anno.

La carriera

 Ultimo di quattro fratelli (di cui uno morì dopo pochi giorni di vita) Alberto nasce a Roma il 15 giugno 1920 nel rione di Trastevere, da Pietro Sordi, professore di musica e strumentista, titolare della tuba contrabbassa dell’orchestra del Teatro dell’Opera di Roma, e Maria Righetti, insegnante elementare. 
Dopo una gavetta come comparsa e doppiatore a Cinecittà, durante la quale appare in film kolossal come “Scipione l’Africano” e doppia per anni Oliver Hardy (inizialmente presentandosi con lo pseudonimo Albert Odisor), ottiene i primi riconoscimenti alla radio. Nel 1946, ispirandosi agli ambienti dell’Azione Cattolica, idea la sua satira dei personaggi de “I compagnucci della parrocchietta”, dal caratteristico parlato nasale e atteggiamento da “persona come si deve”. Uno di questi personaggi piace talmente a Vittorio De Sica da proporre a Sordi la trasposizione cinematografica in “Mamma mia, che impressione!” del 1951.

Il successo per lui arriva nel 1952, per il ruolo da non protagonista nel film “I vitelloni” diretto da Fellini. L’anno successivo è la volta del film a episodi “Un giorno in pretura” grazie al quale dà vita al leggendario Nando Mericoni, ovvero l’americano, bullo romano e scansafatiche di periferia, dalla parlata romanesca. Figura che ritornerà nel 1954 in “Un americano a Roma” e che gli regala il riconoscimento popolare e il titolo, insieme ad Aldo Fabrizi e Anna Magnani, di  massimo esponente della romanità cinematografica.

 
Con l’avvento della commedia all’italiana Sordi dà vita a una moltitudine di personaggi che la critica identificò come assimilabili all’italiano medio, spesso collaborando anche al soggetto e sceneggiatura dei film interpretati.


Da ricordare il maestro elementare supplente Impallato, che scopre per caso un allievo prodigio nel canto lirico e lo sfrutta per ottenere riconoscimenti e ricchezza in “Bravissimo” di Luigi Filippo D’Amico (1955), il gondoliere rivale in amore di Nino Manfredi in “Venezia, la luna e tu” di Dino Risi (1958), il marito vessato dalla moglie e colmo di debiti ne “Il vedovo”, sempre diretto da Dino Risi e interpretato con Franca Valeri (1959) e così via. 

A partire da “La grande guerra” diretto da Mario Monicelli nel 1959 (nel quale interpreta un soldato indolente e imboscato, costretto suo malgrado a morire da eroe), si distingue come interprete versatile, calandosi anche in ruoli drammatici. Tra le interpretazioni di rilievo degli anni Sessanta sono da citare il sottotenente Innocenzi di “Tutti a casa” di Luigi Comencini (1960), il vigile inflessibile costretto a capitolare davanti al potente di turno ne “Il vigile” di Luigi Zampa (1960), il giornalista Silvio Magnozzi di “Una vita difficile” di Dino Risi (1961), il piccolo imprenditore oberato dai debiti disposto a vendere un occhio per riassestare le sue finanze e accontentare una moglie sin troppo esigente ne “Il boom” di Vittorio De Sica (1963).  


Da non dimenticare poi nel decennio successivo il geometra incarcerato senza motivo mentre si trova in vacanza di “Detenuto in attesa di giudizio” di Nanni Loy (1971) ruolo con il quale si aggiudica nel 1972 l’Orso d’argento al Festival di Berlino) e il drammatico ruolo che recita in “Un borghese piccolo piccolo” di Mario Monicelli (1977), ritenuto da parte della critica come il vertice delle sue capacità recitative.


Come regista Alberto Sordi dirige in totale 19 pellicole, a partire dal 1966, quando ne realizza due: “Fumo di Londra”, basato sulle manchevolezze comportamentali e sociali di un italiano in trasferta all’estero e “Scusi, lei è favorevole o contrario?”, ritratto di un agiato commerciante di tessuti, separato dalla moglie, con tante amanti da mantenere quanti sono i giorni della settimana in un’Italia scossa dalle polemiche sull’eventuale introduzione del divorzio.

Tra le opere degli ultimi anni da non dimenticare “Il Marchese del Grillo” sempre di Monicelli del 1981, e “In viaggio con papà”, ideale passaggio di testimone con Carlo Verdone, che ritroverà poi in “Troppo forte”. 

Torna in alto