Giri con l’iPhone, distribuisci con Netflix. Il cinema secondo Steven Soderbergh

In un’intervista il regista ha raccontato come il cinema sia cambiato dopo l’11 settembre. E poi c’è quel discorso agli Oscar da ubriaco…

Tra i registi di Hollywood, Steven Soderbergh è uno di quelli che ha avuto meno paura di sperimentare. Ha vinto un Oscar, con Traffic. Ha diretto film ad alto budget, come Ocean’s Eleven, che progetti low-cost, come The Girlfriend Experience. Ha girato film con lo smartphone e, nel 2014, ha dichiarato di voler abbandonare il cinema per dedicarsi alle serie televisive, tornando poi sui suoi passi tre anni dopo. Anche il suo ultimo progetto non è annoverabile nelle categorie più tradizionali: High Flying Bird, che racconta la storia di un agente NBA e di una star del basket, è stato girato con gli iPhone e ha avuto Netflix come destinazione di uscita. Insomma, se Soderbergh parla di cinema è lecito aspettarsi qualcosa di non banale. E così è successo anche nell’intervista con David Sims di The Atlantic dove ha parlato di 11 settembre, Netflix e del suo discorso, particolare, alla cerimonia degli Oscar.Soderbergh ha rivelato come la volontà di utilizzare uno smartphone per girare un film fosse arrivata da due direzioni diverse. Da una parte il desiderio di sperimentare nuovi formati e dall’altra la visione di Tangerine di Sean Baker, capace di mostrare concretamente quanto quell’idea potesse garantire qualità. Il tutto, però, solo se applicato alla sua idea di estetica cinematografica. Così è nato prima Unsane e poi High Flying Bird. Secondo il regista, inoltre, l’iPhone aiuterebbe il cast perché è in grado di eliminare tutta una serie di elementi di scena che portano distrazione e che gli attori devono sforzarsi di ignorare. “Nessuno di loro mi ha fatto intendere di considerare questi dispositivi come meno professionali o indegni di ricevere uno sforzo recitativo al di sotto del 100%”.Soderbergh continua a credere che tra sala cinematografica e diffusione online non ci debba essere una serrata competizione. Nel 2005 il suo Bubble, girato con attori non professionisti, uscì contemporaneamente nelle sale e nelle tv via cavo-satellitari americane. Una visione a pioniere, al tempo. Nell’intervista, citando sia Unsane che Logan Lucky, il regista ha sottolineato come siano le grandi catene a non volere un vero cambiamento: “Se una pellicola non ottiene buoni risultati al botteghino, deve esserci un meccanismo che permetta di farla atterrare poco dopo su un’altra piattaforma. Credo che in caso di palese fallimento ti debbano dare la possibilità di farne ciò che vuoi”.Per rafforzare la posizione cita il flop di Unsane: “Se dopo dieci giorni dall’uscita il film non è andato bene perché dovrei fare danni all’azienda mettendolo online? Nessuno può dimostrare il fatto che si tratti di qualcosa di realmente doloso”. Soderbergh non teme che ci sia concorrenza tra i due mezzi: “L’esperienza a casa non è la stessa che si vive al cinema. Quest’ultima resta ancora la preferita dalle persone”. Netflix, come è successo per Roma, cambia un po’ le carte sul tavolo da gioco tra brevi uscite al Cinema, nei grandi appuntamenti, e poi il rilascio quasi immediato sul web.Secondo Soderbergh il calendario di uscite dei film durante l’anno è cambiato dopo l’attentato alle Torri Gemelle. “La mia sensazione è che i film più impegnati, che voglio definire in maniera negativa – da Oscar – vengano spinti a ottobre, novembre e dicembre. Insomma, ti infili il cappotto e vai a vedere qualcosa di serio. Da gennaio a marzo, invece, puoi divertirti di più” E tra marzo e settembre? La risposta del regista non potrebbe essere più chiara: “The big shit’s coming”. Non c’è bisogno di traduzione vero?Sims ha fatto poi notare a Soderbergh come il suo discorso durante la cerimonia degli Oscar sia oggi considerato “ideale” per brevità e emotività. La risposta del regista è laconica: “Ho provato shock e sgomento quando me l’hanno detto”. Il motivo, del resto, è molto semplice: “C’è un aneddoto dietro quel momento. Semplicemente non ero sobrio. Non mi ero preparato nulla perché sapevo che mai avrei potuto vincere contro Ridley Scott e Ang Lee. Avevo bevuto parecchio proprio perché sapevo che non mi sarei dovuto alzare da quella poltrona”. L’improvvisazione, quella vera. Se volete verificare il suo stato di ebbrezza, ecco il video di quella performance.Per Soderbergh il problema principale dell’Academy è il numero eccessivo di membri che fanno parte del board decisionale: “Non puoi fare una mossa senza aspettarti che qualcuno dica la sua”. Ma crea difficoltà anche la proliferazione di premi, una stagione che dura troppo a lungo e che viene considerata innaturale e faticosa. “Sono cresciuto guardando gli Oscar ma non sono una persona che ama ripetere le stesse esperienze”. E tra avere successo o ricevere un altro premio non ci sono dubbi: “A questo punto della carriera preferirei il primo”.L’ultima risposta è un messaggio d’amore per il suo mestiere: “Fare film è ancora il miglior lavoro del mondo. Non sarei onesto se dicessi il contrario. Per questo sto provando a farne uno ogni nove mesi”. Poi, un’ultima precisazione: “È vero, mi lamento. Ma lamentarsi è quello che l’Homo Sapiens sa fare meglio”. Come dargli torto?

Alessandro Frau, Agi

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