Unico italiano in concorso ‘I figli della notte’ del figlio del compositore Manuel, nipote del grande Vittorio, è un racconto di formazione di due allievi in un collegio tra le nevi dell’Alto Adige
L’onore del concorso – unico italiano – al Torino Film Festival è toccato ad Andrea De Sica, figlio di Manuel e nipote di Vittorio. Il suo I figli della notte è un racconto di formazione (o di deformazione) di due giovani allievi di un collegio isolato tra le nevi dell’Alto Adige, dove genitori ricchi e assenti spediscono i rampolli per prepararli agli impegni futuri da classe dirigente. Ma a fare da contrasto alla rigida disciplina diurna nella scuola, c’è una misteriosa casa nel bosco, i rossi cuori al neon accesi nella notte, una sorta di casa di Hansel e Gretel a luci rosse. “L’idea del film parte dall’esperienza diretta di persone a cui sono affezionato, che si sono ritrovate a vivere in collegio, luogo decisamente anacronistico nel duemila. Quel che mi interessava – spiega De Sica – e mi apparteneva, era raccontare il senso di abbandono che si prova a sedici anni, un momento in cui non abbiamo una forma decisa e in cui possiamo compiere scelte che marchiano la nostra vita in modo indelebile”.
Nel film c’è anche l’eredità che arriva da nonno Vittorio, nel senso “delle conseguenze che le scelte dei genitori possono avere sui figli, come accade ne I bambini ci guardano. Si tratta, a volte, di sopravvivere alla scelta dei genitori o di soccombere. Del resto lo sguardo degli adolescenti è così, in bianco e nero”. L’idea era anche raccontare adolescenti diversi da quelli ritratti, prevalentemente con il tono da commedia, dal cinema di oggi. “Cercavo una storia di formazione che contenesse elementi di provocazione: via i buoni sentimenti, via le battute spiritose. Volevo raccontare un percorso borderline che non appartenesse necessariamente alle periferie ma riguardasse giovani ben inquadrati nella società. Questa storia d’amicizia mi è sembrato naturale legarla poi all’idea di cinema che ho in mente, il risultato è stato spostare il confine da una storia di adolescenti a un film di genere”. Infatti il film mescola i generi, una favola nera che guarda a Lynch, Bellocchio, e che cita esplicitamente Kubrick a partire dall’ambientazione, Il Grand Hotel Dobbiaco, antica struttura in stile asburgico che ospita le Settimane Musicale Malheriane nel film si trasforma in una sorta di Overlook Hotel di Shining (“ci parlavano di fantasmi al Gran Hotel già prima del nostro arrivo, mi divertiva avere un corridoio della scuola con gli stessi colori”, racconta De Sica) in cui si muovono i due intensi protagonisti, Vincenzo Crea e Ludovico Succio, scelti tra mille aspiranti e molto bravi nel gestire anche i pochi momenti di imperfezione della sceneggiatura. I loro personaggi, Giulio e Edoardo arrivano nella struttura destinata a trasformarli nella “classe dirigente del futuro” che nel pacchetto offre anche una trasgressione controllata, a tariffario. “Abbiamo subito capito che non dovevamo giudicarli, metterli nelle caselle dei buoni o cattivi”, dice Crea. Succio: “l’idea era comunque di renderli empatici, vicini al pubblico al di là dei loro comportamenti”.
I figli della notte, girato in cinque settimane, è stato sostenuto dalla IDM Film Commission dell’Alto Adige, è prodotto da Vivo Film Srl con Rai Cinema (c’è anche in coproduzione la belga Tarantula) ma non ha ancora una distribuzione. De Sica, 35 anni, una laurea in filosofia e studi al Centro Sperimentale a proposito del suo essere figlio d’arte racconta “è quasi più difficile, in realtà essere figlio di una produttrice che nipote di Vittorio”, sua madre è infatti Tilde Corsi. “Qualcuno mi ha anche detto: perché non fai produrre il film da tua madre?”. Andrea ha dedicato il film al padre, il compositore Manuel De Sica “la sua scomparsa è stata un grande dolore. Avrebbe dovuto fare lui la colonna sonora e quando è scomparso ho deciso che l’avrei voluta realizzare io”. Nel film una compilation variegata che mette insieme brani classici e sintetizzatore, Ti sento dei Matia Bazar e Vivere (nella versione cantata da Pavarotti): “Questo brano lo ha usato anche mio nonno Vittorio in Il giardino dei Finzi Contini, in un momento doloroso, invece in questo film segna un momento positivo del personaggio. So che andrò avanti con il cinema, ho già in mente un altro film, ma che proseguirò anche il mio cammino con la musica”.
Arianna Finos, La Repubblica