Uma Thurman: «La mia ironia vi seppellirà»

L’attrice, all’indomani dello scandalo Weinstein, ha raccontanto come un capriccio del produttore e l’assenso del regista abbiano portato all’incidente sul set di «Kill Bill vol. 2». «Ma sono una donna che sa perdonare», ha dichiarato, dicendosi pronta a un altro film

Uma è al di là delle parole. Per raccontarla, trovare le risposte e illudersi di capirla basta ascoltarla ridere. Dentro il timbro prolungato che spande nell’aria, a volte amaro, altre sarcastico e divertito, c’è tutta l’avventurosa esistenza della signora Thurman. Le cose viste e quelle vissute, la forza di saper cadere senza infrangersi e il coraggio necessario a rialzarsi, la capacità di relativizzare, l’impermeabilità all’inessenziale, perché a pochi giorni dai suoi primi 49 anni, Uma Thurman sa che generosità e altruismo son denari che van spesi con dovuta proprietà.

È accaduto con i figli per i quali, racconta, ha sacrificato senza batter ciglio buona parte della sua carriera, e per le donne con le quali ha lavorato nella serie Chambers, dal 26 aprile su Netflix. La creatrice e sceneggiatrice Leah Rachel, «alla quale va riconosciuto tutto il merito per questa storia». E Sivan Alyra Rose che interpreta la protagonista Sasha, «una giovane attrice al suo debutto. Credo sia la prima volta che una ragazza nativa americana interpreta il personaggio principale in una serie». Per sé la Thurman, che è anche produttrice della serie, ha riservato un ruolo minore: «Nancy è una donna sotto shock, traumatizzata, in lutto. Ha perso la figlia e si sta rendendo conto di non aver mai conosciuto davvero la sua famiglia. C’è qualcosa che le sfugge in quella morte e istintivamente sente che sua figlia è ancora lì, ne percepisce la presenza. E questo la porta sull’orlo della pazzia».

Entrare nella mente di un personaggio del genere dev’essere stato un viaggio piuttosto difficile, buio.
«Assolutamente. Inoltre, parliamo di una donna che non ha un lavoro, perché ha scelto di dedicarsi al marito e ai figli. E, all’improvviso, la vita che si era scelta le viene portata via».

In questo siete davvero diverse: lei una carriera ce l’ha eccome e da cinque anni è di nuovo una madre single.
«Oh, è come se lo fossi sempre stata».

Lati negativi e positivi?
«È difficile rispondere. Proprio perché so solo come si vive da madre single. Mi manca un termine di paragone. Quello che posso dirle è che sono felice di avere una bellissima relazione con tutti e tre i miei figli. Sono molto diversi fra loro ma ognuno è a suo modo speciale. Hanno talento, passioni. Insomma, in qualche modo li abbiamo cresciuti bene».

La più grande, Maya, ha vent’anni e fa l’attrice anche lei. Sbaglio o lei si augurava che facesse altro?
«Non sbaglia. Ma il bello è che, rispetto a com’ero io alla sua età, è molto più sicura di sé. Lavora tantissimo, è piena di idee, compone anche canzoni, è determinata e ha la testa sulle spalle. Ha già cominciato a capire che gli alti e bassi fanno parte di questo mestiere. Che qualche delusione è inevitabile e che l’invasione della privacy è un altro prezzo da pagare».

Avevate parlato insieme della sua decisione?
«Più che altro ho accettato che sarebbe successo. E da quel momento ho fatto tutto il possibile per starle vicino, aiutarla. Ma avrei preferito che scegliesse una carriera meno stressante. Vogliamo tutti proteggere i nostri figli, no?».

Maya sarà nel nuovo film di Quentin Tarantino, C’era una volta a… Hollywood.
«Sì e ne ho parlato con lui. Sono molto felice che l’abbia scelta. Nell’ambiente si dice che sarà un film fantastico».

Insieme avete fatto Pulp Fiction e Kill Bill – Volume 1 e Volume 2. Qual è il suo preferito?
«Hanno tutti e tre un significato speciale per me. Pulp Fiction è diventato un film leggendario che, a distanza di 25 anni, regge ancora benissimo e io, sul set, mi sono soprattutto divertita. Mentre Kill Bill è stata una conquista fondamentale a livello creativo ma mi è costata un sacco di lavoro e fatica».

Il personaggio della sposa-Beatrix lo avete creato insieme.
«Proprio mentre giravamo Pulp Fiction cominciammo a ragionare sull’idea di una storia di vendetta. Partimmo da un’immagine: una donna in abito bianco ricoperta di sangue. Da lì, a ritroso, abbiamo deciso che in passato era stata una killer professionista».

Ma come eravate arrivati a parlarne?
«Una sera dopo aver finito di girare si chiacchierava, noi due più alcuni attori e gente della troupe. Quentin mi stava spiegando il cinema di genere, io avevo 23 anni, ne sapevo poco, figuriamoci in confronto a lui. Lo ascoltavo affascinata e, a un certo punto, è venuta fuori quell’idea. Quentin cominciò subito a scrivere la sceneggiatura ma, poi, la lasciò da parte. Ci tornò su anni dopo. Mi dava da leggere le pagine nuove man mano che le scriveva, anche se, spesso, poi le buttava, cambiava direzione. È stato un privilegio vedere in che modo lavora».

Sono anni che si parla di un Kill Bill 3.
«Non credo che lo faremo mai. Secondo me, Quentin non ha nessuna intenzione di guardare indietro. Oltretutto ha sempre detto che avrebbe fatto dieci film e poi avrebbe smesso (C’era una volta a… Hollywood sarebbe in effetti il decimo, anche se sulla locandina è definito “Il 9°”, ndr)».

Enrica Brocardo, Vanity Fair

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