«In arte Mina»: su Raitre il bellissimo racconto della Tigre di Cremona

Nel lunedì di Pasquetta, Raitre ha dedicato un documentario ad Anna Maria Mazzini, la cui ultima apparizione pubblica risale ormai a quarant’anni fa. Attraverso la conduzione di Pino Strabioli e la viva voce di chi ha potuto viverla, lo show è un gioiello tv

In arte Mina, andato in onda lunedì di Pasquetta su Raitre, è stato un documentario elegante, realizzato fuori e dentro Lugano, senza inerpicarsi alla ricerca di una linea temporale standard. Un nastro che si è riavvolto senza mai arrivare agli inizi, alla ragione di un successo dato quasi per scontato. Perché «Mina è un’esplosione, Mina è la rivoluzione», hanno ricordato quanti la cantante hanno potuto averla a fianco, vivendone la portata dirompente.

Il documentario – condotto da Pino Strabioli e che ha raccolto davanti alla televisione oltre 1,5 milioni di telespettatori, per uno share totale del 6,8% – ha saputo restituire la grandezza di Mina, l’avanguardismo di un’anima che dal tritacarne dello spettacolo si è tirata fuori quarant’anni fa.

Dovesse esserci un filo conduttore ne In arte Mina, sarebbe certamente l’addio alle scene della cantante. Un addio ricostruito attraverso le teche Rai, le immagini di archivio e le testimonianze di quanti abbiano potuto essere spettatori dell’ultimo Milleluci, dei concerti alla Bussola, di canzoni sulle quali è pesata la censura dell’epoca, di una decisione che ha trasformato l’assenza di Mina in eterna presenza, consegnandola al mito.

Da Fiorello a Giorgia, da Barbara Alberti a Giuliano Sangiorgi, attraverso la conduzione di Strabioli, Raitre ha saputo restituire, pezzo per pezzo, la portata dell’innovazione culturale, comunicativa, linguistica di cui si è fatta promotrice Mina. E ciò senza perdersi mai nel cicaleccio di pettegolezzi e voyeurismi.

Mina, Anna Maria Mazzini, la Tigre di Cremona è anche la donna che cucina le salamelle a Manuel Agnelli e, di gusto, legge Il Topolino. E di questa persona ha raccontato Raitre, una persona immensa, con gli occhi grandi e l’anello al pollice, la bocca sensuale dalla quale è potuto uscire (anche) il «lato luciferino di Cristiano Malgioglio», l’allusione ad un mondo di amplessi sessuali che, nel 1975, mai avrebbe dovuto essere nominato. Figurarsi, musicato.

Claudia Casiraghi, Vanity Fair

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