DANIELE SILVESTRI ACROBATA: “OGGI PRENDO CORAGGIO E ABBANDONO (QUASI) L’ATTUALITÀ”

Esce il 26 febbraio il nuovo album del musicista romano frutto di cinque anni di lavoro. “L’attualità non aiuta a portare l’ascoltatore da un’altra parte, cure se parli di piccolezze quotidiane non fai quell’operazione benefica che l’intrattenimento deve fare, ovvero far tornare bambini e stupire chi ascolta”

daniele-silvestri“Acrobati è un disco acrobatico anche per come è nato: da un iPhone pieno di appunti musicali, di idee, che partendo da uno studio di Lecce la scorsa estate, ha viaggiato fino a ritrovarsi al chiuso di una sala di registrazione dove è nato un flusso inesauribile di musica. Jam che diventavano sessioni, armonie, melodie, break che si condensavano in canzoni. Musicisti in tondo a suonare ogni nota come se fosse sempre la prima e anche l’ultima, una serie di take fissate su hard disk che davano già il volto a un disco pieno di spunti, di idee, di libertà”. Il disco viene presentato così e ad ascoltarlo bene è vero. Si, perché Acrobati, il nuovo album di Daniele Silvestri è probabilmente il miglior lavoro che il cantautore romano abbia mai realizzato. E se non è il migliore è certamente il più ricco, convincente, completo dei suoi album, quello che lo dipinge nella maniera più precisa e sicura, mettendo insieme tutte le sue passioni, i suoi amori, vizi e virtù, le tensioni ideali e quelle del cuore. Un album che non ha un solo suono, passando agilmente dal rock alle ballate, dall’elettronica alla canzone d’autore, ma che ha un’unica personalità, la sua. Ci sono voluti cinque anni e, nel frattempo, la bellissima e straordinaria avventura del trio con Max Gazzè e Niccolò Fabi, per far arrivare Daniele Silvestri ad Acrobati, cinque anni di maturazione personale, artistica, creativa che gli hanno permesso di mettere a fuoco, in maniera indiscutibile, il suo mondo musicale e artistico. Che andrà in scena tra breve: il primo tour teatrale della carriera di Silvestri partirà, infatti, con un tutto esaurito il 10 marzo da Genova e toccherà tutte le regioni d’Italia per terminare a Palermo il 14 maggio.

Silvestri, partiamo dal titolo e dalla copertina: perché Acrobati?
“Quella canzone probabilmente, anche dal punto di vista musicale, credo sia il cuore di questo disco. Lo è per ragioni intime, ma soprattutto perché si è portata appresso un punto di vista fin dal primo istante, era un invito a guardare le cose dall’alto, a cambiare sguardo. Se potessi fare riascoltare i provini iniziali si noterebbe bene che questa cosa non è mai mancata in tutti i tentativi successivi, era tutto sempre legato a un volo, uno sguardo dall’alto, quindi non è casuale che sia stata questa canzone a dare il titolo all’album. Via via che le storie prendevano piede il titolo mi sembrava perfetto, e ci fosse un filo conduttore dell’album sarebbe stato il funambolismo, l’acrobazia. La vedo come la rivendicazione di una peculiarità del tutto umana ad elevarsi anche compiendo azioni con un obbiettivo magari non alto, ma belle, antiche, affascinanti per il loro la loro intrinseca difficoltà. L’essere in equilibrio è qualcosa che fa parte dell’arte in generale, è meraviglioso: quando chi ti ascolta o ti guarda ha lo sguardo con la bocca aperta, di sospensione, ammirazione fanciulla, ho ottenuto il primo risultato. E poi il nostro tempo, siamo tutti un po’ funamboli, per quanto retorico è anche vero, cerchiamo un equilibrio nella vita, psico, socio, politico, a cominciare da quello tra il presente che viviamo con grandissima fretta e ansia, con intensità ma senza una prospettiva, e la possibilità di progettare più in avanti. Se si ha la fortuna di guardare dall’alto riesci ad avere una percezione di profondità, avanti e indietro, non solo l’oggi ma anche ieri e domani. E per ultimo io stesso mi vedo come acrobata e funambolo, magari linguisticamente, è la mia forma di divertimento circense preferito”.
Si intitola “Acrobati” il nuovo album di Daniele Silvestri in uscita per Sony Music il 26 febbraio. È stato lo stesso artista romano ad annunciarlo con queste parole: “Sono 22 anni che faccio dischi, ma sono più emozionato che mai. Lo dico solo a voi, e poi magari lo negherò… ma credo sia la cosa più bella che ho fatto. Non vedo l’ora di farvelo sentire. Per adesso – però – posso almeno farvelo vedere!”. Anticipato dal singolo “Quali alibi”, “Acrobati” è un disco acrobatico anche per come è nato: da un iPhone pieno di appunti musicali, di idee, che partendo da uno studio di Lecce, proprietà di Roy Paci, la scorsa estate ha viaggiato fino a ritrovarsi al chiuso di una sala di registrazione.

Posso dirle che negli anni lei forse ha sempre fatto 99, senza voler mai arrivare a cento, e che questo album, invece, questo confine finalmente lo supera?
“Può essere, è il mio carattere, sono così nella vita e nella professione, in assoluto forse mi sarebbe stato più naturale in questo mestiere non essere protagonista ma essere una brava spalla o il regista di qualcos’altro, animato da un misto di pudore e di comodo. Ma è anche vero che questa volta ho trovato una sicurezza in me che da molte cose: la prima è anagrafica, crescere in qualche modo ti cambia; e poi c’entra quello che è successo con il trio, con Max e Niccolò, avventura affascinante, gratificante, ha dato a tutti la sensazione di avere messo un punto, chiuso un cerchio. E’ stato naturale dopo venti anni di storia fare finalmente il salto, per tutti e tre, insieme. Questo mi ha dato una sicurezza, una certa spavalderia, ho sentito il bisogno di approfittare di questo momento per prendere strade più coraggiose o definite in cui non mi dovevo fare il cruccio di tornare indietro o spostarmi, di fare un continuo esercizio di stile che magari nascondeva anche il timore del salto più definitivo”.

E la novità dell’album è anche quella di una diversa densità musicale, di maggior libertà espressiva.
“Forse anche nella musica ho capito cosa potevo fare da grande. Una delle cose che so fare meglio è dirigere un gruppo di persone, orientare un flusso di emozioni e passioni. Avendo con me musicisti di qualità eccelsa mi è stato facile. Con Enrico Gabrielli, ad esempio, non ci avevo mai lavorato, mi sono trovato al cospetto di un genio vero, ma più in generale ho avuto cinque persone giuste scelte in base al fatto che accanto a me ci fossero persone che stavano attraversano un momento di rara fattività, pronte a fare cose diverse dal solito, a cercare l’inatteso, a scardinare regole. D’altro canto sono arrivato con una quantità mostruosa di spunti, pronto a trasformarmi nel primario di un reparto di ostetricia per partorire con loro qualcosa di bello, con la fortuna di poter dire andiamo di qua e di là ma non più di questo. C’è stato qualcosa di magico”.

Il disco segna un cambiamento, ma non ha buttato via niente del “vecchio” Silvestri…
“Una cosa l’ho tolta, l’attualità. Poi è vero che è entrata in Alibi, è entrato il Bataclan che è avvenuto mentre scrivevo, ma anche il cibo biologico perché continuo a giocare. L’attualità non aiuta a portare l’ascoltatore da un’altra parte, se parli di piccolezze quotidiane non fai quell’operazione benefica che l’intrattenimento deve fare, ovvero far tornare bambini e stupire chi ascolta. L’esempio è una canzone come Monolocale, dura, forte, c’è dentro l’attualità ma cerca di farti volare. L’altra differenza è metodologica, il risultato riporta a me ma il metodo con cui ho scritto le canzoni è diverso, ho adottato sistemi nuovi. E ho rispettato quel magma musicale nato nelle session apparentemente senza obbiettivo preciso, non ho mai piegato successivamente la musica a una forma che potesse contenere più facilmente un testo, per farle diventare strofe e ritornelli in una forma riconoscibile. Seguendo nel testo quel flusso, ho scritto in un altro modo”.

La Repubblica

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