“La memoria è un dovere”: Giulio Base presenta Un cielo stellato sopra Il ghetto di Roma

Il nuovo film del regista, nato da un soggetto di soggetto di Israel Cesare Moscati sviluppato con Marco Peretta, sarà disponibile in esclusiva su RaiPlay dal 27 gennaio, Giorno della Memoria, e andrà in onda il 6 febbraio alle 22:50 su Rai1, in ambito Speciale TG1.

16 ottobre 1943. Il rastrellamento degli ebrei romani da parte dei nazisti.
Comincia con quelle immagini terribili, Un cielo stellato sopra il ghetto di Roma, nuovo film diretto da Giulio Base, concentrandosi in particolare sulle vicede di Sarah, una bambina ebrea nascosta da una suora in un convento che rimarrà centrale nella storia. Anche quando poi il film sposterà la sua azione nel nostro presente, quando Bianca, una giovane liceale, ritrova in una vecchia valigia una foto di Sarah e una lettera che ne racconta parte della storia: decisa di scoprire la sorte della piccola Bianca, con l’aiuto di alcuni amici, entra in contatto con un gruppo di coetanei della comunità ebraica romana, e tutti insieme questi ragazzi, grazie ai loro sforzi e alla loro collaborazione, getteranno luce sul passato, scopriranno cosa ne è stato di Sarah e faranno scoperte importanti su loro stessi e le loro stesse vite.
Un cielo stellato sopra il ghetto di Roma, che sarà disponibile in streaming in esclusiva su RaiPlay dal 27 gennaio Giorno della Memoria, e andrà poi in onda il 6 febbraio alle 22:50 su Rai1, in ambito Speciale TG1, nasce da un soggetto di Israel Cesare Moscati, un figlio della Shoah che faceva il venditore ambulante ed è diventato poi scrittore e regista, e che ha dedicato la sua vita alla memoria di quei fatti terribili.

“Questo film per noi è particolare, fatto con grande amore,” spiega Paolo Del Brocco, amministratore delegato di Rai Cinema, che Moscati lo conosceva bene. “Israel si è inventato autore perché aveva tanto da raccontare, e con noi ha realizzato quattro documentari particolari, parlando della Shoah attraverso il presente, facendo parlare come in Alle radici del male, i figli e nipoti delle vittime con figli e nipoti dei nazisti che li hanno perseguitati.”
Moscati aveva portato avanti l’idea di questo film per molti anni, spiega Del Brocco, con quell’entusiasmo che gli faceva avere “idee e intuizioni difficilissime da realizzare ma che spingevano verso la direzione giusta,” come aggiunge Sandro Bartolozzi di Clipper Media, altro produttore del film insieme a Cesare Fragnelli di Altre Storie.
A riuscire a concretizzare le idee e le intuizioni di Moscati è stato proprio Giulio Base, cui Del Brocco si rivolse per rifinire la sceneggiatura e girare poi il film.

“Mi sono emozionato immediatamente quando mi hanno proposto questo film,” racconta Base, “e mi sono sentito onorato di poter raccontare una storia così importante e che mi consentiva di studiare e ampliare i miei orizzonti, e di conoscere Israel.”
Il primo passo per la costruzione del film, una volta chiuso il copione, è stato per Base “trovare i ragazzi cui affidare i ruoli dei protagonisti”. Ragazzi che ha individuato in giovani come Bianca Panconi, Daniele Rampello, Marco Todisco, Francesco Rodrigo, Emma Matilda Lió e Irene Vetere. Ragazzi, dice Base, “che non hanno mai messo il loro ego davanti alla storia che stavamo raccontando e alla Memoria. I protagonisti hanno più o meno l’età dei miei figli: sono giovani che conoscono la Shoah grazie ai libri di storia ma anche grazie al cinema, a film come Kapò, o Shindler’s List, o e La vita è bella. E hanno voglia di approfondire. Per loro la memoria non è un vanto, ma un dovere, ed è così anche per me. Quando dietro alla tragedia c’è la colpa dell’uomo bisogna far sì che ciò che è accaduto non accada più, e di questo i ragazzi hanno piena coscienza. La memoria è lotta: bisogna lottare affinché queste cose non si dimentichino, mai. E il negazionismo che incredibilmente continua a esistere è uno dei motivi per cui abbiamo il dovere di ricordare. Quel che si deve fare è combattere l’ignoranza.”

Base definisce quello con Moscati “un incontro eccezionale”, e di lui, venuto a mancare proprio poco prima dell’inizio delle riprese del film (che anche per questo gli è dedicato), ricorda in particolare l’entusiasmo e la grande spiritualità.
Per girare Un cielo stellato sopra il ghetto di Roma, poi, Base ha avuto modo di utilizzare le reali location del ghetto romano, dal Liceo Ebraico Renzo Levi alla Sinagoga, compresa la Sala del Bagno (“nessuno, credo, ha avuto prima la possibilità di girare così tanto in quei luoghi,” dice) e di avere il supporto di tutta la Comunità ebraica romana, del Rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni (“un uomo illuminato, che per me è stato un maestro”) e di Claudio Procaccia, direttore del Dipartimento Cultura della Comunità Ebraica di Roma, che nel film è in qualche modo rappresentato da un personaggio di nome Volterra, interpretato da Domenico Fortunato, altro amico di Moscati.
“Questo film,” spiega Base, “raccontra anche della volontà di abbattere dei muri, laddove esistano, tra ebraismo e cristianesimo. La nostra cultura è da sempre permeata di cultura ebraica, la Comunità ebraica di roma è la più antica d’Europa e precede anche quella cristiana. Noi non siamo ebrei o cristiani: siamo romani, siamo italiani, siamo parte della stessa scintilla umana.”

“È bellissimo che questo film parli di memoria attraverso una storia che ha protagonisti dei giovani e si basa su racconto trans-generazionale,” dice Elena Capparelli di RaiPlay, che renderà disponibile il film di Base come parte di una più ampia commemorazione nel Giorno della Memoria. “Era perfetto per noi anche perché è un prodotto scritto e pensato per i giovani per raccontare il passato, e RaiPlay si propone di recuperare quella fascia di pubblico giovane che le reti generaliste non riescono più a intercettare,” aggiunge il suo collega Maurizio Imbriale.
E sono stati gli stessi protagonisti del film, da Francesco Rodrigo (cui la nonna raccontava del rastrellamento fin da quando era piccolo) a Emma Matilda Lió, passando per Daniele Rampello e Marco Todisco, a parlare dell’esperienza di Un cielo stellato sopra il ghetto di Roma come di “un’esperienza unica e bellissima”, di “un dono”, che ha permesso loro di conoscere una storie e una cultura, che in alcuni casi è proprio la loro, in maniera più diretta e profonda.

Federico Gironi, comingsoon.it

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